Giovedì 8 giugno, alle ore 9:30, un presidio di cittadini, attivisti e associazioni si ritroverà davanti al Tribunale di Napoli, ingresso Piazza Cenni. Non sarà una semplice manifestazione, ma un grido di dignità, un appello alla giustizia, un atto di resistenza civile. Perché la battaglia contro gli avvelenatori di Acerra non può finire così, tra cavilli e silenzi istituzionali. Perché c’è una memoria che non si prescrive. E c’è una terra che non può essere venduta o restituita a chi l’ha condannata alla malattia e alla morte.
Il caso è noto, ma troppo spesso rimosso: i fratelli Pellini, imprenditori della monnezza, sono stati condannati per disastro ambientale aggravato. Avvelenatori seriali, hanno sversato rifiuti tossici nelle campagne di Acerra, Casalnuovo e in tutta l’area a nord di Napoli, contribuendo a costruire quel mostro invisibile chiamato “Terra dei Fuochi”. Un crimine durato anni, che ha portato con sé tumori, leucemie, malformazioni. Malattie silenziose ma spietate, che hanno devastato intere famiglie.
Eppure oggi, nel 2025, si rischia l’ennesimo paradosso italiano: 222 milioni di euro di beni sequestrati ai Pellini potrebbero ritornare nelle loro mani, a causa di un vizio procedurale, della scadenza dei termini. Una ferita atroce che si riapre, uno schiaffo ai familiari delle vittime, a chi ha lottato e continua a lottare per la verità.
«Sarebbe una sconfitta per tutti noi, per l’intero Stato italiano», denuncia con forza la consigliera indipendente della Regione Campania Marì Muscarà, da anni impegnata in prima linea in questa battaglia di giustizia ambientale. Con lei ci saranno tante realtà associative del territorio acerrano e anche l’ex presidente della Commissione parlamentare Antimafia Nicola Morra.
«La magistratura aveva segnato un punto fermo – continua Muscarà – sembrava davvero la fine dell’era Pellini, simbolo di un sistema criminale che ha fatto profitti sulla pelle della nostra gente. Ma oggi rischiamo che tutto venga vanificato. Questa è una battaglia che dura da oltre vent’anni, e che io stessa ho condotto insieme ad attivisti come Alessandro Cannavacciuolo, senza mai vedere il sostegno reale della politica, quella dei partiti. Siamo stati sempre soli, ma non ci siamo mai fermati. E non lo faremo ora.»
La decisione della Corte d’Appello, attesa proprio per giovedì, sarà decisiva. Ma non può e non deve essere presa nel silenzio. Non può ignorare la voce di quei cittadini che in questi anni hanno perso genitori, figli, fratelli a causa delle patologie connesse agli sversamenti illeciti. Non può dimenticare che Acerra ha già pagato il suo prezzo con un inceneritore costruito in un territorio martoriato, e con una salute pubblica messa in ginocchio.
Chi inquina deve pagare. È una regola basilare di ogni Stato di diritto. Ma in Italia, troppo spesso, chi inquina si arricchisce. Troppo spesso, chi denuncia viene lasciato solo. E allora è giusto alzare la voce, essere presenti, stringersi attorno a quella parte di cittadinanza che non ha mai chinato la testa.
Non è solo questione di milioni di euro. È questione di memoria. Di giustizia. Di verità. È la dignità di una terra meravigliosa, fertile, storica, che non può più essere associata solo a tumori e discariche. È la vita dei suoi abitanti, delle future generazioni, di un popolo che chiede soltanto di vivere senza respirare veleno.
Giovedì 8 giugno, fuori al Tribunale, Acerra sarà presente. E con lei tutte le voci che non vogliono dimenticare. Perché le terre dei fuochi non devono più ardere. Perché i morti non si svendono. Perché l’Italia, se vuole essere uno Stato serio, deve dare un segnale chiaro: la giustizia ambientale non è negoziabile.