Secondo un’analisi della Commissione Europea pubblicata a fine giugno e rilanciata in un video del prof. di economia Angelo Vaccariello, emerge una situazione allarmante riguardo all’occupazione dei neolaureati in Europa, con l’Italia in una posizione tutt’altro che lusinghiera. A livello europeo, l’87% dei ragazzi che completano il percorso universitario riescono a trovare un’occupazione, ma in Italia questa percentuale crolla drasticamente al 67%, il valore più basso dell’Unione. A confronto, Malta registra quasi il 90%, dimostrando come alcuni Paesi siano riusciti a creare una connessione più forte tra istruzione e mondo del lavoro. Cosa significa questo per l’Italia? In pratica, su 100 neolaureati, solo 67 trovano un impiego. Il dato diventa ancora più preoccupante se si considera che, come evidenziato dall’Unione Europea, molti di questi giovani vengono inseriti in ruoli che non corrispondono alla loro formazione accademica. In un momento storico in cui si parla di aumentare la produttività, far crescere i salari e promuovere gli investimenti in ricerca e sviluppo, questa disconnessione grida vendetta.
La formazione universitaria rappresenta un investimento considerevole, sia per le famiglie che per lo Stato. Un giovane, dalla scuola primaria alla laurea, costa allo Stato tra i 200 e i 400 mila euro, a seconda del percorso accademico scelto. Eppure, nonostante questo ingente investimento, il sistema non riesce a garantire un adeguato inserimento nel mercato del lavoro, né tantomeno una corrispondenza tra studi e mansioni svolte.
Il problema, tuttavia, non si limita alla mancanza di occupazione. Si ripercuote infatti su diversi aspetti della società italiana: giovani che non lavorano non si sposano, non mettono su famiglia, con conseguenze gravi per la demografia e il sistema pensionistico. Inoltre, il malfunzionamento del mercato del lavoro rischia di far fuggire all’estero i nostri migliori talenti, dove i laureati italiani sono accolti a braccia aperte, data la loro alta preparazione. Un altro aspetto critico è rappresentato dall’orientamento scolastico e universitario. Troppi giovani scelgono percorsi di studio che non garantiscono sbocchi lavorativi immediati. In questo, lo Stato dovrebbe intervenire per indirizzare gli studenti verso facoltà con una maggiore richiesta sul mercato, come ingegneria, informatica e discipline economiche avanzate. L’Italia, invece, rimane debole su questo fronte, continuando a formare giovani che non trovano impiego o che vengono impiegati in mansioni non qualificate.
La soluzione, come sottolineano molti esperti, è stringere un accordo tra mondo dell’istruzione e imprese. Le aziende devono essere pronte a investire nella formazione post-laurea, ma è essenziale che assumano i giovani laureati per le funzioni per cui si sono preparati. Solo così si potrà invertire la tendenza attuale e offrire ai nostri giovani una prospettiva di futuro nel proprio Paese. In conclusione, se vogliamo davvero rilanciare l’Italia, dobbiamo partire dai giovani: mettere i laureati nelle condizioni di lavorare, valorizzando le loro competenze e creando un circolo virtuoso che porti benefici non solo a loro, ma all’intero sistema economico e sociale del Paese.
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Disoccupazione giovanile in Italia: un Paese ‘laureato ma senza lavoro’