Napoli si sveglia oggi più sola, più muta, come se un filo invisibile che la teneva legata alla sua anima più antica si fosse spezzato. È morto Roberto De Simone, e con lui se ne va un pezzo irripetibile del Novecento napoletano. Un Maestro nel senso pieno e raro del termine: musicista, etnomusicologo, regista, scrittore, intellettuale capace di unire in sé la sapienza della cultura accademica e la passione viscerale per le radici popolari.
Nato a Napoli nel 1933, De Simone ha attraversato il secolo come uno sciamano moderno, raccogliendo le voci perdute del Sud e restituendole con una forza nuova, colta, teatrale. Non si è limitato a raccontare Napoli: l’ha incarnata. Ha fatto della tradizione un atto politico, della memoria un’opera d’arte. La sua opera più celebre, La Gatta Cenerentola (1976), non è solo un capolavoro del teatro musicale: è il manifesto di una visione. In quella riscrittura della fiaba seicentesca di Basile c’è tutto il suo mondo: la lingua viva del popolo, i riti ancestrali, il ritmo delle tammorre, la malinconia e la rabbia, il sogno e la disillusione.
Fondatore della Nuova Compagnia di Canto Popolare , De Simone ha ridato dignità e visibilità a canti, lamenti, celebrazioni religiose e racconti orali che rischiavano di scomparire. La sua direzione del Conservatorio di San Pietro a Majella, così come i suoi studi sull’etnomusicologia e la cultura contadina, sono stati pietre miliari nella ricostruzione di un’identità culturale meridionale troppo spesso deformata o dimenticata. Roberto De Simone non è mai stato un artista “comodo”. La sua voce era fuori moda, fuori schema, fuori da ogni marketing culturale. Non si è mai piegato all’immagine da cartolina di Napoli, ma l’ha attraversata in profondità, scandagliando il dolore, la superstizione, la religiosità popolare, le contraddizioni e la grandezza di una città che lui ha saputo tradurre in poesia viva.
Per lui la cultura non era una vetrina, ma una missione. I suoi lavori sono studiati nei conservatori e nelle università, ma vivono anche nelle piazze, nelle processioni, nei cori spontanei, nella memoria collettiva. La sua scomparsa lascia un vuoto immenso, ma anche un’eredità che non si può ignorare. Oggi più che mai, in un tempo in cui la cultura è spesso ridotta a intrattenimento, ricordare De Simone significa riaffermare la centralità del pensiero critico, della ricerca, della bellezza autentica.
Napoli, oggi, lo piange. Ma non lo dimenticherà.
Perché De Simone non è solo un nome da ricordare: è una voce che continuerà a parlarci.
Nel battito delle tammorre, nei cori delle feste popolari, nelle risate e nei piani del popolo.
Là dove la cultura non muore mai.
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Il Napoli perde la sua voce più profonda: addio al Maestro Roberto De Simone