Nel cuore della 57ª edizione del Vinitaly, una delle vetrine enologiche più importanti d’Europa, a brillare non è stato solo il classico nordico Prosecco, ma anche un sorprendente spumante completamente prodotto a Napoli. A portarlo è stata Enodelta , storica azienda vinicola della famiglia Caputo, da oltre trent’anni presenza fissa della kermesse veronese.
Ai microfoni de L’Identitario, i fratelli Nicola e Annina Caputo, ennesima generazione della famiglia, hanno raccontato l’orgoglio di aver presentato per la prima volta un’alternativa “made in Campania” al colosso veneto del prosecco: Ferdinandus, uno spumante elegante, fine, a perlage sottile e completamente elaborato nei pressi del Vesuvio, senza lavorazioni a lavorazioni conto terzi o fuori regione. «È uno spumante 100% napoletano, nato, cresciuto e imbottigliato nella nostra terra», afferma Nicola Caputo, «non è stato facile, ma ci siamo dotati di tutta l’attrezzatura necessaria per fare la spumantizzazione direttamente in azienda. Un investimento importante, che ci ha ripagato in soddisfazioni».
Un primato raro, se non unico, in Campania. Molti produttori del Sud, infatti, spediscono le basi spumante al Nord per l’elaborazione. Non Enodelta. E a dare la misura del successo sono stati anche alcuni produttori di prosecco che, assaggiando Ferdinandus, hanno riconosciuto: «Regge il confronto. Anzi, lo supera».


Ma non solo spumante. Enodelta ha rappresentato al Vinitaly l’intera regione Campania, portando in fiera il meglio delle sue denominazioni: dalla DOC Vesuvio ai vini irpini, passando per l’Aglianico del Sannio e l’Asprinio di Aversa. Solo uve autoctone, senza compromessi: Piedirosso, Falanghina, Greco, Fiano, Agnanico. Vini che parlano di storia, di identità e di un Sud che non ha nulla da invidiare a nessuno.
«Quando raccontiamo un Lacrima Christi, parliamo anche del Vesuvio, di Napoli, della Magna Grecia e dei Romani. Le nostre uve sono figlie di secoli di storia: i greci portarono le varietà, i romani inventarono il vino. Noi custodiamo questa eredità» – conclude Annina Caputo.