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Crollo insegna grattacielo a Milano ma è “colpa del caldo”: se fosse successo a Napoli sarebbe stata colpa dei napoletani?

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Rubrica l’Indipendentista a cura di Stefano Bouché
Milano, centro della modernità italiana, capitale del design, delle grandi aziende e delle testate “autorevoli”. Proprio lì, in pieno centro, è crollata un’enorme insegna pubblicitaria da un palazzo a centinaia di metri d’altezza. Una tragedia sfiorata che avrebbe potuto avere conseguenze gravi. Ma il primo giudizio dei principali giornali è arrivato puntuale e, come da copione, assolutorio: è stato il caldo!!

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Sì, il caldo. Quel fenomeno atmosferico improvviso e ingestibile, che scioglie l’asfalto, che allenta i bulloni e fa cedere strutture in una delle città più ricche e controllate del Paese. Nessun commento sulle mancate manutenzioni. Nessuna allusione a presunte irregolarità o negligenze. Nessuna gogna mediatica. Ma proviamo solo per un attimo a immaginare la stessa scena a Napoli o in una città del Sud. Le prime accuse sarebbero volate senza indugi probabilmente e sarebbero state sullo stile: “colpa dei napoletani”, “la solita illegalità diffusa”, “non sanno costruire”, “ci vuole il commissariamento”, “e la camorra?” – conditi dai soliti cori di indignazione moralista e paternalista, tra politici pronti a cavalcare la tragedia e troupe televisive a caccia di sensazionalismi da mandare in prima serata.

Non sarebbe stato il caldo. Più che “ha stato il caldo”, sarebbe stata la cultura dell’abusivismo. L’inciviltà. L’omertà. L’atavica inadeguatezza del meridionale a vivere nella legalità. Avremmo letto di “bomba sociale”? di “Napoli che non cambia mai”?, dei “fondi pubblici sprecati” e via cosí? Ma non è Napoli. È Milano. E allora si cambia tono. Non c’è spazio per l’inchiesta, ma solo per la cronaca fredda. Nessun sospetto generalizzato sulla popolazione. Nessun linciaggio morale. Nessuna accusa collettiva. Questo doppiopesismo è il frutto di una narrazione tossica che si perpetua da oltre 160 anni, dai tempi dell’unificazione in poi: una colonizzazione prima culturale, poi economica, oggi giornalistica. Dove Nord vuol dire eccellenza, anche quando crolla qualcosa. E Sud vuol dire colpa, anche quando si subisce un danno. A questo punto, più che di “colpa del caldo”, sarebbe il caso di parlare di “colpa di un’Italia a due velocità”, dove il pregiudizio ha ancora più potere della verità. Una verità che, stavolta, per fortuna non ha fatto vittime. Ma ha messo ancora una volta a nudo una narrazione distorta, che è ben lontana dall’essere “neutrale” o “oggettiva”. E non è il caldo. È qualcosa di diverso: è qualcosa che sottolinea differenze di altitudine, di razza, di costumi. Vuoi vedere che possiamo parlare di esclusivismo per legittimare il depauperamento e la ghettizzazione degli “alcuni” al fine di permettere la crescita degli “altri”? dei giusti? Vuoi vedere che possiamo parlare di razzismo?! Attenzione, guai a chiamarlo col suo nome. La verità è un lusso che al Sud non viene concessa.

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