Rubrica: l’indipendentista a cura di Stefano Bouché
C’è un momento, nella vita politica di un Paese, in cui le maschere cadono. Le parole pronunciate da Vincenzo De Luca sullo stato della sanità in Campania non sono soltanto l’ennesimo sfogo di un presidente di Regione frustrato dai vincoli ministeriali. Sono qualcosa di più: sono la denuncia netta e cruda di un sistema che continua, deliberatamente, a trattare il Sud come una colonia da contenere, controllare, limitare.
È inaccettabile – e non può essere più tollerato – che a oltre cinque anni dalla fine del Commissariamento (2019) la Campania non sia ancora libera di investire nella propria salute pubblica. È inaccettabile che mentre in alcune regioni del Nord si continua a spendere con generosità, nel Mezzogiorno si venga bloccati anche solo nel tentativo di migliorare i servizi essenziali. La realtà raccontata da De Luca, al di là del personaggio e del linguaggio colorito, è vera.
Punti nascita chiusi a Sessa Aurunca e Piedimonte Matese, laboratori costretti a chiudere se non raggiungono le 200mila prestazioni annue. Non sono decisioni regionali, ma imposizioni del Governo centrale, che con la scusa dell’equilibrio di bilancio cancella diritti fondamentali.
Ecco il paradosso: mentre si applaude alla sanità lombarda, si soffoca quella campana.
Chi vive al Sud lo sa: aspettare mesi per una visita specialistica, dover viaggiare per partorire, non trovare risposte nei territori più fragili, non è più un’eccezione. È la regola. Una regola scritta lontano, tra le pieghe di regolamenti e piani di rientro, da chi non conosce le periferie della Penisola ma decide comunque sulla loro pelle.
Il punto sollevato da De Luca non è solo economico, ma profondamente politico.
Il federalismo, nella sua versione applicata all’italiana, ha aumentato i divari, non li ha colmati. Il Sud non chiede privilegi: chiede solo di poter curare i suoi cittadini con la stessa dignità del Nord. E allora sì, diciamolo chiaramente: questo non è federalismo. È colonialismo sanitario. E come ogni forma di colonialismo, può essere spezzato solo con una presa di coscienza collettiva e con la forza di chi – finalmente – smette di abbassare la testa.
Se è necessario un atto di ribellione istituzionale per riportare giustizia nel sistema sanitario nazionale, allora che ben venga. Perché non è solo la Campania a essere sotto attacco. È un’idea intera di equità, solidarietà e coesione nazionale che sta lentamente andando in fumo.