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La ferita di Suffregna: un tesoro Negato alla nostra Napoli. Una politica fatta solo di annunci

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di Alessandro Casillo
A Napoli, la nostra terra vibrante e tormentata, c’è una storia che brucia più del Vesuvio e punge più del sale sulla pelle. È la storia dell’acqua suffregna, una sorgente che sgorga generosa dal Monte Echia, portando con sé non solo benefici per la salute, ma anche un potenziale incredibile per la sicurezza del nostro territorio. Eppure, da circa cinquant’anni, questo dono prezioso ci viene negato. Parliamo di un’acqua le cui proprietà benefiche sono note da generazioni, un vero e proprio elisir per chiunque avesse la fortuna di attingerla. Ma non solo: esperti e studi hanno più volte sottolineato come quest’acqua, con la sua azione rinfrescante, potrebbe giocare un ruolo cruciale nel raffreddamento delle zone vulcaniche sottostanti, agendo quasi come un sentinella naturale contro minacce inimmaginabili. Un’ipotesi affascinante, un’opportunità di prevenzione che, incredibilmente, resta imprigionata.

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Ricordo i racconti dei nostri nonni, le immagini delle “mummare” – quelle anfore panciute, compagne fedeli di intere famiglie – che tornavano a casa piene di quell’acqua cristallina, raccolta gratuitamente, simbolo di un diritto inalienabile e di una profonda connessione con la nostra terra. Oggi, quelle mummare sono solo reperti di un passato lontano, un’eredità calpestata dalla negligenza e da promesse infrante. Non molto tempo fa, una fiammella di speranza si era accesa. Si parlava di riapertura, di restituire al popolo napoletano ciò che è suo di diritto. Ma quella fiammella si è spenta in un soffio, trasformandosi nell’ennesima umiliazione. Non solo ci è stato negato l’accesso a un bene comune e vitale per mezzo secolo, ma siamo stati anche presi in giro, illusi da annunci vuoti e smentiti dai fatti.

Questa non è solo una questione di acqua; è una questione di dignità, di identità. È il simbolo di un popolo, il nostro, che è “padrone” della propria terra, ma a cui viene continuamente sottratto il possesso dei suoi beni più preziosi. È un affronto alle nostre radici, un tradimento della fiducia riposta in chi dovrebbe tutelarci. Le nostre amministrazioni hanno il dovere non solo di amministrare, ma di proteggere, valorizzare e restituire ciò che appartiene alla collettività. La vicenda dell’acqua suffregna è una cicatrice aperta sulla pelle di Napoli, una vergogna che grida giustizia e un monito costante: il nostro patrimonio, le nostre risorse, non possono essere prigioni di burocrazia o vittime di indifferenza. Il popolo napoletano merita risposte, azioni concrete, e soprattutto, il ritorno di quella “mummara” piena d’acqua, simbolo di un diritto finalmente riaffermato.

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