L’indipendentista Rubrica a cura di Stefano Bouché
Il dibattito sul futuro del Sud e sulle misure per contrastare disoccupazione e marginalità sociale si arricchisce di una riflessione fondamentale, offerta da Rosella Cerra in un recente approfondimento che merita di essere rilanciato e discusso con serietà. L’articolo ricostruisce la storia della clausola del 34%, introdotta nel 2017 per garantire al Mezzogiorno una quota proporzionale della spesa pubblica in conto capitale. La Svimez aveva già allora dimostrato, con simulazioni chiare e numeri precisi, che se tale norma fosse stata applicata con rigore tra il 2009 e il 2015, il Sud avrebbe perso la metà del PIL effettivamente bruciato e avrebbe salvato quasi 300mila posti di lavoro. Non assistenzialismo, dunque, ma sviluppo reale.
Un dato che assume oggi ancora più valore se lo si mette in relazione con i 330mila posti creati nel Mezzogiorno grazie al PNRR e agli incentivi edilizi degli ultimi anni. Due cifre simili che ci dicono una cosa semplice: gli investimenti strutturali e costanti producono occupazione e benessere. Cerra sottolinea un punto decisivo: il mancato rispetto della clausola non ha solo frenato il Sud, ma ha avvantaggiato in modo sistematico il Centro-Nord. Perché ogni euro investito al Sud genera un “effetto dispersione” che produce ricchezza anche altrove, mentre la dinamica opposta vale molto meno. Un meccanismo che spiega l’asimmetria di sviluppo che ancora oggi condanna milioni di cittadini meridionali a un gap inaccettabile.
La recente modifica introdotta con il Decreto Coesione dal ministro Fitto, che sostituisce la quota del 34% con la più vaga formula delle “risorse allocabili”, apre scenari preoccupanti. Una flessibilità che rischia di diventare discrezionalità, annullando anni di battaglie per un riequilibrio territoriale basato su criteri certi. Di fronte a questo quadro, la proposta di un “reddito di dignità”, avanzata da Pasquale Tridico in Calabria, trova nell’analisi di Cerra una risposta concreta: non sussidi che rischiano di alimentare dipendenze, ma una politica di investimenti pubblici ordinari e certi, capaci di creare lavoro vero e duraturo. Il messaggio che emerge è chiaro: se vogliamo un Mezzogiorno che non chieda assistenza ma sia protagonista dello sviluppo nazionale, occorre applicare la legge e garantire al Sud quello che gli spetta. Non un favore, ma giustizia economica e sociale.
Ecco perché l’articolo di Rosella Cerra non è soltanto un’analisi, ma un monito: la partita del Sud si gioca sulla capacità dello Stato di rispettare le proprie regole e investire davvero nel suo futuro.