Un tempo magistrato in prima linea nelle inchieste più scomode del Paese, oggi Luigi De Magistris torna a far sentire la propria voce con parole che pesano come macigni. Lo fa all’indomani della nuova condanna a carico dell’avvocato ed ex politico Giancarlo Pittelli – già coordinatore regionale di Forza Italia in Calabria – che, dopo gli 11 anni inflitti in primo grado a Vibo Valentia per il processo “Rinascita Scott”, ha visto aggiungersi i 14 anni di reclusione stabiliti dal Tribunale di Palmi nel procedimento “Mala Pigna”, sempre per concorso esterno in associazione mafiosa.
Per De Magistris questa non è soltanto un’ulteriore notizia di cronaca giudiziaria: è il doloroso epilogo di una vicenda che lo toccò in prima persona quando era magistrato in Calabria. Fu infatti proprio la sua indagine a incrociare il nome di Pittelli, allora potente avvocato e politico, indicato come nodo cruciale di un sistema di relazioni che – attraverso logge occulte – teneva insieme ‘ndrangheta, colletti bianchi, magistrati, forze di polizia e servizi segreti.
De Magistris ricorda di essere stato estromesso “ingiustamente” da quelle indagini, privato della possibilità di portarle a termine. Il trasferimento e la sottrazione dell’inchiesta segnarono, racconta, la fine della sua carriera da pubblico ministero. “Mi hanno tolto il lavoro che per me era una missione – afferma – distruggendo per sempre ciò che ritenevo il senso stesso della mia vita professionale. La dignità e l’onestà restano scolpite nel petto, ma nulla mi è stato restituito”.
Oggi, a distanza di anni, il tempo avrebbe confermato la fondatezza delle sue intuizioni, ma non gli ha restituito ciò che ha perso: “Si paga un prezzo a non avere prezzo, ma non c’è prezzo a non avere prezzo”, sottolinea con amara lucidità.
Il caso Pittelli diventa così, nelle parole dell’ex sindaco di Napoli, un simbolo: non solo la conferma della pervasività della criminalità organizzata, ma anche la prova di come chi ha tentato di colpirla nei suoi snodi più alti abbia pagato un tributo personale altissimo. Una lezione amara per la giustizia italiana e un monito che, oggi più che mai, non può essere ignorato.