Negli ultimi anni abbiamo assistito a una narrazione sempre più polarizzata. Durante la pandemia, ad esempio, i movimenti di piazza furono rapidamente etichettati come “no-vax”, “complottisti”, “eterodiretti”. Alcuni media e commentatori sostenitori che dietro quelle proteste ci fossero figure come Donald Trump, Bob Kennedy, QAnon o Forza Nuova. È vero: personaggi e gruppi di questo tipo esistevano e tentavano di cavalcare l’onda del dissenso. Ma questo non significava che le piazze fossero “comandate” da loro. Era piuttosto un modo per screditare, con una narrazione semplificata, ciò che per molti era un’azione genuina di rivendicazione di diritti e libertà.
Oggi, su un altro fronte, accade qualcosa di simile. Alcune iniziative internazionali – come le flottiglie dirette verso Gaza – vengono presentate come strumenti nelle mani di potenze oscure, o come parte di trame che coinvolgerebbero Hamas, George Soros, partiti della sinistra radicale europea o movimenti ambientalisti. Si crea cioè una narrazione che, indipendentemente dalla verità dei singoli legami, mira a delegittimare chi partecipa. È lo stesso schema: associare un movimento a una figura controversa per ridurne la credibilità pubblica.
Ma la realtà è più complessa delle etichette. Esistono, all’interno di questi fenomeni, persone e gruppi che agiscono in autonomia, spinti da convinzioni autentiche. Così come durante la pandemia c’era chi difendeva il diritto a decidere del proprio corpo, oggi ci sono attivisti che usano strumenti pacifici come la “Sumud Flotilla” per denunciare una situazione che ritengono ingiusta. Non tutti sono “infiltrati”, non tutti sono “strumenti”.
In Medio Oriente, la questione palestinese continua a dividere. Da un lato c’è il diritto di Israele a difendere la propria sicurezza; dall’altro, quello dei palestinesi a vivere senza occupazioni, bombardamenti e blocchi. Parlare di genocidio è una parola forte e controversa, ma certo è che le immagini che arrivano da Gaza raccontano una crisi umanitaria di proporzioni enormi. Anche per questo c’è chi sceglie di schierarsi dalla parte dei civili palestinesi, senza per questo giustificare atti di terrorismo.
Il mondo non è bianco e nero. Né è grigio. È fatto di sfumature, di individui, di scelte personali. In un tempo in cui tutto sembra “controllato” e “infiltrato”, riconoscere la dignità e l’autenticità delle singole persone che agiscono è forse l’ultimo atto di resistenza vera.