Rubrica l’Indipendentista a cura di Stefano Bouché
Nel giro di pochi mesi l’Italia si trova davanti a tre riforme che, sommate, potrebbero cambiare davvero la fisionomia della nostra democrazia: autonomia differenziata, separazione delle carriere in magistratura e premierato forte non sono dettagli tecnici, magari oggetto di una trattativa di un’alleanza tripartita ma interventi che incidono sull’equilibrio che i padri costituenti hanno disegnato dopo l’esperienza tragica del ventennio fascismo.
L’autonomia differenziata viene proposta come modernizzazione, eppure la Corte Costituzionale ha bocciato la riforma Calderoli proprio perché priva di quel principio di solidarietà che l’articolo 5 richiede ed in verità la ratio legis ontologica della Nostra Carta Costituzionale. L’autonomia esiste nella Costituzione, come principio riconosciuto – prospettiva ex ante – e promosso – direttiva ex post – ma non certo come frammentazione del Paese in venti sistemi diversi, ciascuno con diritti differenti ispirati al laconico “prendi le risorse e via”. Nonostante il richiamo della Consulta però, il governo procede, alcuni scriverebbero “tamquam non esset”, ovvero come se nulla fosse: per gli stessi un segnale chiaro ed evidente della filosofia politica di questo esecutivo?
La separazione delle carriere, poi, è la parte più delicata. Si sostiene che fosse una battaglia di Falcone e Borsellino: è falso. Paolo Borsellino lo definiva un divide et impera, uno strumento per mettere il pubblico ministero sotto il controllo dell’esecutivo. Falcone, quando espresse apertura, lo fece in un contesto completamente diverso, in cui il PM aveva poteri enormemente superiori e il sistema era ancora di tipo inquisitorio. Oggi sarebbe tutt’altra cosa: contestualizziamo la fattispecie e del resto è un dato esperienziale assodato che nei Paesi in cui le carriere sono rigidamente separate, il PM è molto più esposto alla politica. E in Italia il potere giudiziario è già l’unico vero contrappeso a un legislativo ed esecutivo che, in una repubblica parlamentare, tendono a coincidere conoscendo lo stesso incipit elettorale ancor di più in un sistema elettorale con liste bloccate che chiaramente fanno comodo a tanti se non a tutti tranne per chi vota!!
E dulcis in fundo, la ciliegina amara del premierato forte, che accentra ancora di più il potere nelle mani dell’esecutivo, riducendo la centralità del Parlamento, già indebolito dalle liste bloccate e dall’assenza di preferenze come prima accennato. Il rischio è chiaro: un sistema sempre meno bilanciato, sempre meno configurato sul “balance of powers”, sull’equilibrio dei tre poteri che devono controllarsi a vicenda e sempre meno fedele allo spirito dei padri costituenti. Il famigerato nuovo ordine è chiaro ed avanza: il vento è quello che soffia verso una democrazia a trazione autoritaria, con più o meno alcuni margini di iniziativa economica. Siamo davvero sicuri che è quello che vogliamo? Attenzione perché poi tali definizioni, tali impalcature per cambiare necessitano spesso di eventi traumatici quindi sì, adelente Pedro ma con iudicio, estremo, determinante, iudicio.
Non è questione di tifoserie o di etichette politiche. È il tema fondamentale dell’equilibrio tra poteri: se lo si altera, anche solo di qualche grado, si modifica la natura stessa della Repubblica. E davanti a questo timore legittimo non può bastare deridere o insultare chi solleva dubbi. La democrazia vive di confronto, non di slogan né di semplificazioni interessate.
Il punto è semplice: indebolire il potere giudiziario e potenziare l’esecutivo significa cambiare l’architettura dello Stato. E farlo senza un vero dibattito, spacciando per volontà di Falcone e Borsellino















