Mentre lo Stato pianifica l’esodo dei cittadini campani in caso di eruzione, una rete di sindaci, imprenditori e ricercatori si organizza per difendere un diritto: restare nella propria terra.
In Italia c’è un Sud che non chiede l’elemosina, ma dignità. Non si tratta di rivendicazioni astratte: sul tavolo, stavolta, c’è la vita di oltre 600.000 persone residenti nell’area vesuviana, e con essa la tenuta sociale ed economica dell’intera Campania. La posta in gioco? Decidere se, in caso di emergenza vulcanica, un’intera popolazione dovrà essere deportata verso regioni del Nord o potrà restare nella propria terra, in condizioni di sicurezza.
È questa la sfida lanciata dalla Fondazione Convivenza Vesuvio, che ha raccolto in pochi mesi l’adesione di 10 comuni dell’area rossa vesuviana, e oltre 10 comuni “accoglienti” del territorio campano, pronti a offrire spazi e soluzioni per ospitare parte della popolazione evacuata, senza doverla allontanare dal proprio contesto di vita. Un fronte ampio, sostenuto anche dalla SVIMEZ, storico istituto per lo sviluppo del Mezzogiorno, presieduto dal professor Adriano Giannola, che ha riconosciuto il valore strategico della proposta e sottoscritto un Protocollo d’Intesa con la Fondazione. Il documento, già trasmesso al ministro Musumeci e al Prefetto Fabio Ciciliano, direttore della Protezione Civile, rappresenta un modello alternativo e dal basso alla gestione dell’eventuale crisi vulcanica.
“Non possiamo permettere che la Campania venga decapitata. La zona vesuviana è tra le più produttive e popolose del Sud. Spostare intere comunità fuori regione significa minare la coesione sociale, distruggere l’economia locale e calpestare l’identità di un territorio” – ha dichiarato Vincenzo Coronato, presidente della Fondazione, al termine dell’ultimo CDA, tenutosi presso Confindustria Caserta. Proprio Confindustria Caserta, socio fondatore della Fondazione, ha ospitato l’ultima riunione operativa. Al tavolo erano presenti imprenditori come Luigi Della Gatta, dirigenti dell’associazione e il segretario generale della Fondazione, Lucio Lombardi. Tra i punti discussi, anche la preparazione del vertice romano del 26 giugno, in cui la Fondazione si confronterà direttamente con la Protezione Civile nazionale, portando sul tavolo una proposta concreta, supportata da dati, enti scientifici e una rete di comuni disposti a collaborare.
La visione è chiara: non una fuga, ma un sistema di accoglienza interna, organizzata in modo da evitare concentrazioni e disagi. In Campania esistono oltre 180.000 alloggi inutilizzati in circa 400 comuni dell’entroterra. Una risorsa enorme, da attivare con una logica di prevenzione e solidarietà territoriale. Ogni comune accogliente ospiterebbe tra il 15% e il 30% degli evacuati, evitando l’impatto di una “migrazione forzata” in massa. Accanto ai sindaci, anche il mondo della ricerca ha fatto squadra. Il Distretto Tecnologico Aerospaziale Campano (DAC), con oltre 200 soggetti tra università, centri scientifici e grandi imprese, è in prima linea per sviluppare soluzioni di mobilità verticale e logistica di emergenza, rendendo concreta e tecnologicamente avanzata la risposta campana a un’eventuale crisi vulcanica.
Un contributo prezioso è arrivato anche dall’Intergruppo Parlamentare Sud, Aree Fragili e Isole Minori (presieduto dall’On. Alessandro Caramiello) che ha sostenuto l’iniziativa in sede politica, promuovendo il dialogo con le istituzioni centrali e rilanciando il valore della sussidiarietà territoriale. Anche il sindaco di Torre Annunziata, Corrado Cuccurullo, ha aderito formalmente al protocollo, spiegando che «non si tratta solo di evacuare, ma di preservare il tessuto umano e urbano di una comunità. Se perdiamo questo, non sarà solo il Vesuvio a cancellarci, ma l’inerzia politica».
La Legge Regionale n. 13 del 2008 è dalla parte dei cittadini: prevede chiaramente che le popolazioni a rischio vulcanico debbano restare in Campania e che ogni piano di evacuazione deve essere condiviso e partecipazione. Tuttavia, questa legge non è mai stata pienamente recepita a livello nazionale. Ora la Fondazione ei comuni firmatari chiedono che venga finalmente applicata. Il rischio vulcanico non è solo una questione geologica, ma una questione di giustizia territoriale . Perché se è vero che il Vesuvio può fare paura, è ancor più vero che non si può governare l’emergenza con logiche coloniali , trattando i cittadini campani come un problema da altrove.
La Campania, invece, ha scelto di organizzarsi. E lo sta facendo nel modo più potente possibile: unendo università e artigiani, sindaci e imprenditori, cittadini e scienziati. Non per restare fermi, ma per restare liberi nella propria terra.