Rubrica l’Indipendentista a cura di Stefano Bouché
Con 305 voti favorevoli, 151 contrari e 122 astensioni, il Parlamento europeo ha compiuto un passo che fino a pochi mesi fa sembrava impensabile: una risoluzione comune che chiede ai Paesi membri il riconoscimento dello Stato di Palestina e che sostiene le misure annunciate da Ursula von der Leyen contro Israele, dalle sanzioni ai coloni violenti fino alla sospensione parziale dell’accordo bilaterale con Tel Aviv.
Un segnale politico forte, che ha però lasciato sul campo una scia di divisioni, a partire dall’Italia. La maggioranza di governo si è frantumata su tre linee: Forza Italia ha votato a favore “per senso di responsabilità”, come ha spiegato la delegazione guidata da Fulvio Martusciello, pur contestando alcuni passaggi del testo; Fratelli d’Italia si è astenuta; la Lega ha scelto il no. Neppure il cosiddetto “campo largo” dell’opposizione è riuscito a mostrarsi compatto, confermando quanto il tema continui a spaccare gli schieramenti ben oltre i confini nazionali.
Per la presidente della Commissione, la risoluzione rappresenta un successo non scontato. Dopo mesi in cui l’Eurocamera non era riuscita nemmeno a inserire il tema all’ordine del giorno, il voto segna una prova di forza per Ursula von der Leyen, che nelle ultime settimane ha dovuto fronteggiare tensioni su più fronti: dai dazi alle difficoltà della guerra in Ucraina fino alla stessa crisi di Gaza. Un eventuale fallimento avrebbe ulteriormente incrinato l’equilibrio fra le forze europeiste e indebolito la sua leadership.
Il testo approvato è il risultato di una trattativa estenuante fra socialisti, liberali e verdi, portata avanti tra continui stop and go. L’ostacolo più insidioso è stato l’uso del termine “genocidio”, presente nella bozza iniziale voluta dai socialisti e ritenuto inaccettabile dal Partito popolare europeo. Alla fine i progressisti hanno ceduto su quel punto, ma nemmeno questa concessione è bastata a evitare momenti di rottura: secondo fonti interne, i popolari guidati da Manfred Weber avrebbero persino abbandonato il tavolo in segno di protesta prima di ritornare a trattare.
Il compromesso finale non chiude le ferite politiche aperte, ma segna un precedente che a Bruxelles potrebbe pesare a lungo: l’Europarlamento ha trovato una voce comune su una delle crisi più laceranti del nostro tempo, mettendo l’Europa di fronte alla necessità di ridefinire il proprio ruolo nella partita mediorientale.