L’Indipendentista Rubrica a cura di Stefano Bouché
C’è una data che racconta meglio di mille discorsi la grandezza e la modernità del Mezzogiorno prima dell’Unità d’Italia: 3 ottobre 1839. In quel giorno, da Napoli a Portici, partì il primo treno della penisola, segnando l’inizio della storia ferroviaria italiana. Non a Torino, non a Milano, non a Firenze — ma a Napoli, capitale di un regno che guardava al futuro con coraggio e visione. La locomotiva “Bayard”, progettata su incarico di Ferdinando II di Borbone, percorse in appena nove minuti e mezzo il tragitto che separava la stazione di Napoli Bayard dal Granatello di Portici, tra lo stupore e l’emozione dei presenti. A bordo, vi erano 48 invitati illustri, una rappresentanza dell’armata reale e persino una banda militare che suonava per accompagnare quel viaggio che avrebbe cambiato per sempre la storia dei trasporti italiani.
Non era solo un treno: era un simbolo di progresso, di civiltà e di orgoglio meridionale (anche se non eravamo meridionali di nessuno, anzi il Nord era la Campania Felix). Era la dimostrazione concreta che il Sud, troppo spesso dipinto come arretrato, era in realtà la culla dell’innovazione, dell’industria e della cultura tecnica. La ferrovia Napoli-Portici fu il primo passo di un progetto più ampio, che mirava a collegare le principali città del Regno delle Due Sicilie, favorendo commercio, lavoro e sviluppo. Oggi, a distanza di 186 anni, ricordare quella data non è soltanto un atto di memoria storica, ma un gesto di riscatto identitario. È ricordare che da queste terre — da Portici, da Napoli, dal cuore del Sud — è partito il primo segnale di modernità italiana.
È rivendicare con fierezza che il Mezzogiorno fu motore e non zavorra, capace di costruire fabbriche, università, ferrovie, cantieri navali e opere pubbliche che stupivano l’Europa.
Oggi che si parla tanto di divari, fondi europei e ritardi, dovremmo tornare a quella lezione: il progresso nasce quando si crede nelle proprie forze, nella propria identità e nel proprio territorio. Il treno di Portici non era solo un mezzo di trasporto: era una visione di futuro, quella di un popolo che sapeva costruire e sognare.
Ed è da quel sogno che può ripartire il nostro Sud, se solo torneremo ad avere la stessa fiducia in noi stessi che ebbe Ferdinando II nel 1839.