In occasione dell’anniversario della nascita di Giuseppe Garibaldi, qualcosa di importante si muove sotto la superficie delle celebrazioni ufficiali. Non ci sono più solo corone di fiori, busti lucenti e pagine scolastiche piene di retorica. C’è un’onda crescente, consapevole, sempre più numerosa, che alla figura del cosiddetto “eroe dei due mondi” risponde con un sorriso amaro, una domanda critica, o persino con una risata.
Un tempo bastava pronunciare il nome Garibaldi per evocare l’immagine di un liberatore epico, un condottiero romantico alla testa di mille uomini pronti a sacrificarsi per l’Italia unita. Ma oggi, grazie a decenni di studi, ricerche d’archivio, divulgazione e militanza culturale, quel mito traballa. E con lui, crollano molte delle favole fondative dello Stato italiano.
A fare da controcanto alle celebrazioni, infatti, non ci sono solo piccoli gruppi di nostalgici del passato borbonico. C’è una comunità ampia, viva, intellettualmente attiva, che chiede verità e giustizia storica per il Mezzogiorno. Perché dietro i mille di Garibaldi – che in poche settimane diventarono cinquantamila – si celavano “volontari” sabaudi, truppe regolari travestite da idealisti, e un piano preciso: conquistare il Sud, non liberarlo.
Oggi si sa – ed è documentato – che Garibaldi fu finanziato dagli inglesi, protetto dalla massoneria e “manovrato” dai Savoia e da Cavour. Le sue imprese, tutt’altro che spontanee, portarono saccheggi, massacri, bancarotte e repressioni. Il Banco di Napoli, simbolo dell’indipendenza economica meridionale, fu prosciugato da prestiti mai restituiti. E i famosi patti con mafia e camorra? Non sono invenzioni: sono fatti storici.
Il vero dramma non è solo nel danno subìto, ma nella narrazione che ne è seguita. Quella di un Sud arretrato, incapace, “salvato” da un Nord civilizzatore. Una bugia tossica, che ancora oggi condiziona l’autostima di milioni di italiani del Mezzogiorno. Per fortuna, qualcosa è cambiato. Sui social, nei libri, nelle scuole, nei bar. Quando esce un articolo che osanna Garibaldi, piovono centinaia di commenti sarcastici, indignati, documentati. La parola “neoborbonico” non fa più sorridere con sufficienza, ma fa pensare.
La verità, come tutte le verità, fa paura solo all’inizio. Poi si fa strada. Come disse un grande intellettuale napoletano, il giorno della vittoria non sarà quello in cui tutti crederanno a una nuova verità, ma quello in cui smetteranno di credere alle vecchie bugie. E se oggi Garibaldi tornasse in una piazza del Sud, difficilmente troverebbe la statua in suo onore. Troverebbe sassate, come lui stesso temeva. Ma soprattutto troverebbe un popolo che ha imparato a conoscere la sua storia, e che non ha più intenzione di farsela raccontare dagli altri.