Il Seggio del Popolo - Locanda

“Cara Fiamma, per cui ’l core ò caldo, que’ che vi manda questa Visione Giovanni è di Boccaccio da Certaldo.”
È un sabato sera napoletano.

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Gente in ogni dove, turisti in ogni angolo. Fotografano e mangiano tutto ciò che culturalmente e culinariamente esiste. La città è più viva che mai, anche troppo. L’odore del rum, che impregna l’angolo di piazza San Gaetano, si fa più intenso mano a mano che si avvicina la discesa di San Gregorio Armeno. Le botteghe stanno chiudendo e lasciano spazio alla visione complessiva, scarnendo la strada, nella quale risalta adesso l’arco di San Gregorio in lontananza e il campanile di San Lorenzo Maggiore, ancora impaccottato.

Guardo l’orologio, gli stemmi dei sedili di Napoli che furono. Per uno strano scherzo del destino, due di questi, recano proprio le mie iniziali. La Y del Sedile di Forcella, la P del Seggio del Popolo. E poi Capuana, Montagna, Porto, Nilo, quello di Portanova. Dico alla mia amica “lo sai, è qui che Boccaccio incontra Fiammetta, quella del Decameron. Deve passare niente! Ci ha fatto passare i guai nostri all’esame di Letteratura.”
La storia di Boccaccio e del suo capolavoro si intreccia infatti con la splendida Napoli angioina, poiché è proprio qui che lo scrittore scoprirà il suo amore per la scrittura. Inizialmente viene a Napoli su volere del padre per seguire un apprendistato bancario, ma mentre risolve il volere del padre, subisce il fascino irresistibile della letteratura, protagonista indiscussa dell’ambiente di corte napoletano. E sarà la Biblioteca Reale il suo primo grande amore partenpeo. È lì che Boccaccio si appassiona alle vicende cortesi dei romanzi cavallereschi, legge i versi d’amore della recente tradizione stilnovistica ed entra in contatto con il mondo dei classici latini. Tra questi, soprattutto Ovidio, quello che fa dell’amore il fulcro centrale della sua poesia. 

Il soggiorno napoletano riveste un ruolo importantissimo nel suo processo di formazione, poiché è a Napoli che sviluppa un acuto spirito di osservazione e comincia ad approfondire i caratteri e i costumi dei più svariati strati sociali. È il contatto con la realtà concreta e multiforme della nostra città che gli fornisce la giusta ispirazione per la creazione del colorato mondo del Decameron. E proprio a Napoli, anzi, proprio a San Lorenzo Maggiore, incontra Fiammetta, la donna che dipingerà come un personaggio reale e figura squisitamente letteraria, quella che diventerà musa ispiratrice di buona parte della sua produzione letteraria. Lui stesso racconta di averla vista per la prima volta il sabato santo del 1336 nella chiesa di San Lorenzo Maggiore e di essersene perdutamente innamorato sin dal primo sguardo. 

Boccaccio fa un racconto talmente dettagliato della sua amata che viene identificata, con molte probabilità, ma non meno perplessità, con Maria D’Aquino, figlia illegittima del re Roberto D’Angiò e di una nobildonna parigina. Comunque sia andata, e chiunque sia stata, la nostra tradizione letteraria deve molto all’immagine di questa donna, perché è lei che ha ispirato le più intense opere d’amore del periodo napoletano. Il Filostrato, il Filocolo, nelle quali il tema amoroso è trattato nei suoi risvolti psicologici più reconditi, soprattutto nella seconda opera, in cui il protagonista incontra, a Napoli, nei pressi della tomba di Virgilio, un personaggio di nome Caleone (in realtà lo stesso Boccaccio) che lo invita ad unirsi ad una nobile brigata di cui fa parte anche Fiammetta. 

Ma è soprattutto l’atmosfera di Napoli che Boccaccio rende perfettamente. Una Napoli festosa, una città “lieta, pacifica, abbondevole e magnifica”, la stessa che appare stasera. Abbondevole, lieta. Come se nulla toccasse mai il popolo partenopeo, come se nulla di male potesse mai accadere fino a quando una pizza, un babà, un caffè, due risate e una canzone d’amore che risuona per le strade, ci faranno sentire ancora felici. Ancora lieti. Ancora vivi

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