Home Controcorrente Le tre giornate di Napoli 21-22-23 gennaio 1799

Le tre giornate di Napoli 21-22-23 gennaio 1799

di Vincenzo Gulì

Le tre giornate di Napoli 21-22-23 gennaio 1799.
L’armistizio di Sparanise dell’11 gennaio 1799 era stato stilato tutto a favore dei francesi invasori. Se l’imbelle e debole vicario regio Francesco Pignatelli, principe di Strongoli, l’aveva sottoscritto per prendere tempo contro il più potente esercito del mondo comandato dal generale Championnet, a Napoli è subito evidente che è troppo gravoso anche economicamente e non tutela affatto la salvaguardia della capitale.  I rovesci militari e l’inettitudine del governo sconcertano totalmente gli abitanti della metropoli partenopea. 

L’antico privilegio, risalente nientemeno che all’imperatore Federico II, che Carlo VII aveva riconfermato lasciando il regno, cioè la

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possibilità del popolo di surrogare un sovrano assente o incapace, stava già dando luogo ad aperti contrasti con Pignatelli appena ufficializzato a Napoli il giorno successivo alla firma. L’assurdo armistizio è inteso come tradimento e, nel refettorio del convento di

S. Lorenzo con le pareti ornate dagli stemmi delle province reali,  si riuniscono celermente i gloriosi Sedili per deliberare. La maggioranza si dichiara favorevole all’operato del reggente ma il Sedile del Popolo dichiara decaduto il Vicario, nullo il patto con i francesi e chiama la capitale alle armi per la resistenza all’invasore! Il messaggio è recepito e l’entusiasmo patriottico coinvolge l’intera capitale.

I Sedili di Napoli

Per tali motivi, all’arrivo puntuale degli esattori francesi per incassare la penale, il popolo tumultua e vuole ammazzarli ma il Vicario riesce a farli fuggire. Il contemporaneo arrivo dei soldati nazionali da Livorno, concede ai popolani l’opportunità di rifornirsi di armi ed uomini e di diventare padroni della città. A questo punto Pignatelli se ne scappa a Palermo Iasciando la capitale nell’anarchia e viene messo agli arresti dal Re. Lo imita il gen. Mack che, con i suoi aiutanti, tenta di dileguarsi come ufficiale austriaco ma Championnet lo fa deportare a Parigi.

I Sedili, dove partecipavano anche i nobili di diritto, eleggono una “Giunta degli Eletti” con il compito, oltre alle tradizionali prerogative in materia civile, di organizzare l’esercito per la difesa della capitale. Memori delle loro encomiabili imprese militari sono nominati due comandanti, il generale Girolamo Pignatelli, principe di Moliterno, e Lucio Caracciolo, duca di Roccaromana. In città regna però il caos per le troppe novità e ciò fa ringalluzzire i filo giacobini napoletani, protetti dalla tolleranza dei due prima citati, che mandano

ambascerie, tramite il traditore Carlo Lauberg, ai Francesi invitandoli a rompere l’armistizio e ghermire l’occasione nella confusione che serpeggia per Napoli.

Moliterno, nominato Capitano dei Popolo, sollecitamente si reca da Championnet per scongiurarlo di rispettare gli accordi ma il

comandante in capo francese è sordo ad ogni protesta e fa muovere le sue truppe da Aversa marciando su Napoli. Gli abitanti della capitale sono furibondi per la mala fede dei Francesi e si armano tutti alla men peggio per riceverli adeguatamente: presidiano le porte della città e delle fortificazioni, perseguitano i filo giacobini locali, si appostano nelle strade d’accesso lato nord da dove verrà il nemico, da Capodichino a Poggioreale. Domenica 20 gennaio al Duomo una folla immensa giura a San Gennaro di offrire la propria vita per la difesa della capitale, adottando una bandiera nera inneggiante al santo patrono.

Durante la notte tra il 20 e il 21 gennaio i Francesi avevano raggiunto Pomigliano che all’alba è rasa al suolo per incutere terrore all’hinterland partenopeo e prevenire soccorsi alla capitale. Subito dopo, diviso in quattro colonne l’esercito rivoluzionario transalpino, forte di quasi trentamila uomini, investe Capodimonte, il Carmine, Porta Capuana, tenendo in riserva una potente colonna mobile.

Lo straniero alle porte scatena ancor più il disordine in città e alcuni popolani, fidandosi relativamente degli aristocratici al comando, prendono in mano le operazioni di difesa. Si distinguono così dei capi improvvisati, spesso auto elettisi sul campo: come Michele Marino detto ‘o pazzo, De Simone, Pagliuchella, il Paggio. Tutti appartenenti alla Lazzaria vale a dire la categoria di giovani dei ceti più popolari così appellati dagli Spagnoli per il loro abbigliamento scamiciato, spesso lacero. I Lazzari sono coordinati dal principe di Canosa Antonio Capece Minutolo, da essi molto stimato, e sono istintivamente sostenuti da tutti gli abitanti, compresi i soldati regi sbandati, invitati al grido di “SERRA, SERRA” a resistere per salvare la capitale.

La bandiera dei Lazzari

A questo punto Moliterno e Roccaromana capiscono che non hanno più in pugno la situazione e nessuno si accorge che il comitato rivoluzionario filo francese s’impossessa con un coipo di mano di S. Elmo, quasi senza difesa per l’entusiasmo che chiamava tutti a proteggere i varchi d’accesso.
(Le tre giornate di Napoli 21-22-23 gennaio 1799)

La lotta è subito asperrima e sanguinosa e frena l’impeto degli invasori sorpresi dalla determinazione dei napoletani.  Combattimenti spaventosi si accendono il 21 prima nei sobborghi come sulla strada per Aversa e a Poggioreale dove i popolani affrontano a viso aperto i francesi e sono però costretti alla fine a retrocedere. Poi tutti si posizionano agli ingressi della città come il castello del Carmine, il Ponte della Maddalena e Porta Capuana.

L’accesso settentrionale a Napoli è senza dubbio Porta Capuana dove il nerbo dell’armata straniera si dirige con la massima fermezza. Scendendo da Capodimonte gli invasori sono ostacolati da un’altra massa popolare che li inchioda e li pone in grosse difficoltà. Il momento è assai delicato perché da varie parti del principato di Napoli si stanno organizzando masse spontanee che, allertate dal rombo dei cannoni, intendono marciare verso la capitale per collaborare alla sua difesa. Inopinatamente da Castel S. Elmo piovono bombe di artiglieria contro i Napoletani! Sono i giacobini, traditori della patria, possessori del forte che sono riusciti a sparare sui propri fratelli con l’impegno personale dell’intero comitato di cui si parlerà in seguito.  Kellermann è subito inviato con una colonna di truppe scelte a dare man forte ai collaborazionisti. Nonostante una tenace opposizione ad Antignano, il duce francese perviene al castello e fa inalberare la bandiera repubblicana di Napoli a imitazione quasi pedissequa del tricolore rivoluzionario, con il solo giallo al posto del bianco, saccheggiando gli arredi di una vicina chiesa.

Targa ricordo posta da chi sa la storia vera

E’ ormai il 22 e la resistenza si è ridotta alle porte della città. A quella Capuana Championnet ordina la carica alla baionetta contro i lazzari che non si scompongono e ostacolarono l’avanzata in ogni modo. Addirittura i mucchi di cadaveri napolitani avanti alla porta monumentale servono da trincea per rintuzzare i ripetuti assalti. I battaglioni del gen. Guillaume Philibert Duhesme sono bloccati avanti all’arco per ore e rischiano grosso quando altri popolani sopraggiungono di rinforzo. Lì prevale l’arte guerresca del nemico che li attira in una trappola arretrando e facendoli uscire allo scoperto, per poi essere riattaccati da ogni lato da forze superiori. Solo a sera il nemico riesce a entrare con immediato incendio e spargimento di sangue per tutti i disgraziati che si trovarono in zona, anche non combattenti e nelle proprie case, compresa la chiesa e il convento presso le mura.

Parallelamente stava accadendo un’altra aspra lotta in via Foria con i francesi arginati dai Lazzari che a piè fermo ne impedivano l’avanzata poco fuori Porta S. Gennaro ove si erano radunati furtivamente molti universitari figli di papà che, ossequiosi della moda filofrancese, si macchiano d’estrema infamia sparando sui loro connazionali, eroici difensori della città. Lo scompiglio fa prevalere l’invasore.   Gli attacchi proditori dei giacobini locali intaccano il morale dei Lazzari molto più dei danni materiali. Decidono allora di retrocedere nell’abitato per proseguire l’impari lotta.

Altro punto delicato della difesa è al Ponte della Maddalena che sopravanza il fiume Sebeto, protezione naturale della città.

 Ponte della Maddalena

Il miglior generale francese, il giovanissimo François Étienne Christophe Kellermann, di ritorno da S. Elmo, è mandato a pugnare contro i Lazzari, spronati dalla statua di San Gennaro che sembrava, sulla sommità del ponte, incoraggiarli e sfidare il male della rivoluzione con la sua mano minacciosa. L’arrivo di riserve comandate da Brussier volge anche qui a favore dell’invasore che assale ed espugna la Porta del Carmine dopo una furiosa e cruentissima battaglia.

Quel martedì 22, con i Francesi di fronte e i giacobini alle spalle i Napolitani non deflettono e disputano vicolo per vicolo, casa per casa, palmo per palmo il terreno ai rivoluzionari. E’ una giornata apocalittica per gli abitanti di Napoli. Tra via Foria, via Costantinopoli, Largo delle Pigne, via Chiaja, il Mercato si accendono o riaccendono furibonde mischie con i poveri lazzari capaci di tener testa al più forte esercito del tempo con i suoi migliori generali a comandarlo.

I terribili echi della battaglia di Napoli, come già accennato, erano però giunti agli abitanti dei dintorni che, pur intimoriti da vari drappelli francesi in perlustrazione, si stavano decidendo ad intervenire in soccorso. Per l’invasore è dunque una fortuna che il 23, con l’assalto vittorioso ai castelli, la città sia totalmente conquistata, con le armi che finalmente tacciono dopo tre giorni di orrendo spargimento di sangue e di smisurato eroismo della “plebaglia lazzaronesca”.  Anche i napolitani della provincia si persuadono di desistere dal sacrificarsi senza alcuna speranza. Nasce allora lo stato fantoccio della Repubblica Napoletana con i traditori che avevano aiutato lo straniero facendo fuoco sui propri fratelli. Ma la resistenza si sposta immediatamente fuori della capitale perché i regnicoli non volevano arrendersi lanciando un messaggio che rimbalzava dal Tronto all’Aspromonte di cacciare lo straniero. I Lazzari si ritirano nell’ombra per prepararsi alla riconquista del cardinale Ruffo.

Stralcio dal libro : ANTI99 di prossima pubblicazione

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