Il confine tra l’attivismo civile e la gogna mediatica è sempre più labile. E in questi giorni, a Napoli, la ‘gogna’ torna sotto i riflettori grazie a un’inchiesta di Luca Abete per “Striscia la Notizia”, che solleva interrogativi scomodi su metodi e alleanze di chi si batte per la legalità. Il protagonista, suo malgrado, è ancora una volta Pino Grazioli, volto noto dei social, spesso autore di video virali tra cronaca, denuncia e – secondo alcuni – presunti atti intimidatori (come viene rilanciato nel servizio di Striscia).
Secondo quanto mostrato nel servizio andato in onda ieri sera, Grazioli sarebbe solito organizzare veri e propri blitz davanti alle abitazioni di persone prese di mira per comportamenti scorretti o opinioni divergenti. “Non si può combattere l’illegalità con metodi intimidatori,” ha commentato Abete, che nel servizio si è rivolto anche a Francesco Emilio Borrelli, deputato di Alleanza Verdi Sinistra, da tempo vicino a Grazioli in battaglie diverse civiche. Il parlamentare, interpellato sull’operato del “giornalista da social”, prende le distanze. “Abbiamo fatto battaglie insieme che rivendico, ma Pino non può continuare con certi toni. Io non sarò mai complice di spedizioni punitive,” dichiara Borrelli, che, incalzato da Abete, non esita a definire “cialtrone” chi si rende responsabile di atteggiamenti intimidatori.
Un punto di rottura, dunque, che si inserisce in un contesto già teso. Non è la prima volta che Grazioli finisce al centro delle polemiche. Già nei mesi scorsi aveva fatto discutere il suo atteggiamento nei confronti dello stesso Abete, colpevole – secondo lui – di aver “danneggiato” l’immagine di un commerciante locale, protagonista di un servizio sul “doppio listino” per favorire l’evasione fiscale. Mentre il giornalista di Striscia era aggredito e perfino rinchiuso nel negozio, Grazioli – invece di esprimere solidarietà – avrebbe attaccato l’inviato, arrivando persino a difendere l’esercente.
“Perché prendere le parti di chi ha aggredito un giornalista che stava facendo il suo lavoro? Forse perché quell’attività viene regolarmente pubblicizzata sui suoi canali?” si chiede ora Abete, che ha tentato senza successo di ottenere un’intervista chiarificatrice da Grazioli, respinto dal suo avvocato.
La vicenda apre un dibattito importante sul ruolo del giornalismo “fai da te” nell’era dei social. Denunciare e sensibilizzare non può significare delegittimare o colpire le persone con strumenti che rischiano di sfociare in veri e propri atti persecutori. Le parole di Borrelli segnano una frattura netta e, forse, necessaria: chi vuole combattere il degrado non può permettersi di usare gli stessi strumenti di chi lo genera. Intanto, sui social, il confronto si accende.
Striscia, Borrelli e il “caso Grazioli”: quando il confine tra denuncia e intimidazione si fa sottile