Home Attualità Dal Web Garibaldi e i suoi rapporti conflittuali con il Parlamento italiano

Garibaldi e i suoi rapporti conflittuali con il Parlamento italiano

BCC

IL MEZZOGIORNO DOPO L’UNITÀ. Rubrica a cura di Enrico Fagnano

Pubblicità
l'-ecommerce del Sud Italia

Garibaldi si dimise dal Parlamento italiano tre volte: verso la fine del 1863, nel 1868 e infine nel 1880. La prima volta lo fece per protestare contro le violenze dell’esercito italiano in Sicilia, la seconda volta lo fece per protestare contro la politica dei Savoia e così anche la terza volta. Nel dicembre del 1863 il leader del partito d’azione si dimise da deputato insieme ad altri rappresentanti dell’estrema sinistra, tra i quali Aurelio Saffi, Agostino Bertani e Benedetto Cairoli, e accompagnò l’atto con una lettera inviata ai suoi elettori del primo collegio di Napoli, nella quale spiegò che con quel gesto intendeva contestare la brutale repressione in atto in Sicilia. L’esercito nell’isola, infatti, per dare la caccia ai renitenti alla leva operava senza il rispetto delle più elementari norme del diritto e aveva instaurato un clima di vero e proprio terrore. La lettera, inviata il 21 dicembre, il 28 dello stesso mese fu pubblicata su ‘Il Diritto’, che era, come noto, la voce del movimento garibaldino, e poi venne riportata dagli altri giornali italiani, divenendo di fatto una vera e propria denuncia pubblica. Nel testo tra l’altro si legge: ‘Oggi, in cui veggo succedere il vituperio della Sicilia, che io sarei orgoglioso di chiamare la mia seconda terra d’adozione, mi sento costretto, o elettori, a rassegnarvi un mandato che incatena la mia coscienza e mi rende complice indiretto di colpe non mie. A quest’atto non mi consiglia solo l’affetto dovuto alla Sicilia, come l’ardimentosa iniziatrice di tante rivoluzioni, ma il pensiero che in essa furono offesi il diritto e l’onore, compromessa la salute di tutta Italia.’ 

Queste parole gettano un’ombra pesante sul processo della nostra unificazione, ma fanno comprendere anche come i vincitori si comportassero nei territori del Sud alla stregua di veri e propri conquistatori.

Garibaldi senza un motivo apparente si dimise nuovamente dal Parlamento il 25 agosto del 1868 e per questo venne accusato di sottrarsi alla lotta per l’unità nazionale dalla contessa Adelaide Cairoli, madre dei patrioti Benedetto, Ernesto, Luigi, Enrico e Giovanni e lei stessa fervente sostenitrice delle idee risorgimentali (Ernesto e Luigi caddero combattendo tra le camicie rosse rispettivamente nel 1859 e nel 1860; Enrico e Giovanni parteciparono all’azione tentata nel 1867 per liberare Roma e nello scontro del 23 ottobre a Villa Glori il primo perse la vita, mentre il secondo subì gravi ferite, in seguito alle quali sarebbe morto l’anno successivo). Per chiarire le ragioni del suo atto il 7 settembre il generale inviò alla nobildonna una lettera, nella quale tra l’altro scrisse: ‘Mi vergogno certamente d’aver contato per tanto tempo nel novero d’un’assemblea d’uomini destinati in apparenza a far il bene del paese, ma in realtà condannata a sancire l’ingiustizia e il privilegio … Mi sono semplicemente dimesso d’un mandato divenuto ogni giorno più umiliante … Lunga è la storia delle nefandezze perpetrate dai servi d’una mascherata tirannide e longanima troppo la stupida pazienza di chi li tollerava. E voi donna di alti sensi e d’intelligenza squisita, volgete per un momento il vostro pensiero alle popolazioni liberate dai vostri martiri e dai loro eroici compagni. Chiedete ai vostri cari superstiti delle benedizioni con cui quegli infelici salutavano e accoglievano i loro liberatori! Ebbene essi maledicono oggi coloro, che li sottrassero dal giogo di un dispotismo, che almeno non li condannava all’inedia, per rigettarli sotto un dispotismo più orrido assai, più degradante, e che li spinge a morir di fame. Io ho la coscienza di non aver fatto male, nonostante non rifarei oggi la via dell’Italia Meridionale, temendo d’esservi preso a sassate da popoli che mi tengono complice della disprezzabile genia che disgraziatamente regge l’Italia e che seminò l’odio e lo squallore ove noi avevamo gettato le fondamenta d’un avvenire italiano, sognato dai buoni di tutte le generazioni e miracolosamente iniziato. E se vogliamo conservare un’avanzante fiducia tra la gioventù chiamata a nuove pugne e che può aver bisogno della nostra esperienza, io consiglio ai miei amici di scuotere la polve del carbone moderato con cui ci siamo anneriti e non ostinarsi al consorzio dei rettili striscianti sempre, quando abbisognano, ma pronti sempre a nuovi tradimenti. E chi sa non si ravvedano gli epuloni governativi lasciati soli a ravvolgersi nella loro miseria? Comunque sempre pronto a gettare il mio rotto individuo nell’arena dell’Unità Nazionale, anche che dovessi ancora insudiciarmi, io non cambio oggi la mia determinazione, dolente di non poter servire popolazioni care al mio cuore, perché buone, infelici, maltrattate e oppresse, e dolentissimo di contrariare l’opinione di Voi che tanto amo e onoro.’

Le parole che Garibaldi usa a proposito degli uomini al potere in Italia sono durissime e ricordano quelle dello scrittore Paolo Valera, il quale nel suo libro ‘Il Cinquantenario’ (Casa editrice sociale, 1911) ha descritto quel periodo come uno dei più torbidi della nostra storia. Il generale ripetette le sue accuse contro la classe dirigente dell’epoca con ancora maggiore forza, e addirittura con accenti che sconfinano spesso nella vera e propria invettiva, ne ‘I Mille’, scritto tra il 1870 e il 1872. Nessun editore, però, per motivi che è facile immaginare, volle pubblicare il libro e così venne stampato in sole 4.322 copie destinate a un eguale numero di sottoscrittori. La dura presa di posizione, comunque, non impedì a Garibaldi di presentarsi alle successive elezioni, ma il suo comportamento fu spesso caratterizzato da contraddizioni, che forse oggi risultano difficili da comprendere.

La lettera alla contessa Cairoli, però, non è solo una denuncia della corruzione e del malaffare dilaganti tra le classi dirigenti in Italia. Assai pesanti, infatti, sono anche le parole usate per condannare l’oppressione del governo nei confronti dei popoli conquistati e da questo punto di vista si aggiungono alle altre drammatiche denunce su quanto stava accadendo in quegli anni nell’Italia meridionale. Va segnalato, inoltre, come anche il generale riconosca che prima del 1860 alle popolazioni del Sud non mancava il necessario (dice infatti che non erano condannate all’inedia), mentre invece successivamente furono spinte (riprendendo letteralmente il suo testo) ‘a morire di fame’. Numerose sono state le testimonianze sulle violenze e sulla miseria che si sono abbattute sulle province borboniche, ma questa assume un rilievo particolare, considerato che proviene da chi è ritenuto, almeno ufficialmente, il principale artefice dell’unificazione.

La terza volta Garibaldi si dimise dal Parlamento nel 1880 e anche in questa occasione accompagnò l’atto con una lettera ai suoi elettori, in questo caso del collegio di Roma, nella quale non mancarono le solite accuse ai detentori del potere.

Ecco quello che il generale, tra l’altro, scrisse: ‘È con vero dolore che io devo rinunciare a rappresentarvi nel parlamento. Coll’animo sarò con voi sino alla morte. Oggi però non posso più contare tra i legislatori in un paese dove la libertà è calpestata e la legge non serve nella sua applicazione che a garantire la libertà ai Gesuiti e ai nemici dell’Unità d’Italia.

Tutt’altra Italia io sognavo nella mia vita, non questa miserabile all’interno ed umiliata all’estero e in preda alla parte peggiore della nazione. E non vorrei che il mio silenzio si interpretasse come un’affermazione dell’inqualificabile contegno degli uomini che governano questo paese.’

Garibaldi era sempre più lontano dall’Italia sabauda e si sentiva oramai estraneo alla nuova realtà politica che, suo malgrado, aveva contribuito a far nascere.

Poco dopo, nel 1882, sarebbe morto. 

I libri di Enrico Fagnano IL SUD DOPO L’UNITÀ e IL PIEMONTESISMO E LA BUROCRAZIA IN ITALIA DOPO L’UNITÀ sono disponibili sul sito Bottega2Sicilie

Pubblicità
Il Seggio del Popolo - Locanda
l'-ecommerce del Sud Italia