Rubrica L’Indipendentista a cura di Stefano Bouché
Questa statua non ha il cuore. Non ha le mani. Non ha la schiena.
Eppure resta in piedi.
È l’emigrante. È il simbolo di chi ha lasciato tutto: casa, famiglia, lingua, identità.
Per inseguire non un sogno, ma una possibilità.
Il Primo Maggio, nel Sud Italia, suona come una beffa. Una festa senza festa, un inno stonato che celebra un diritto che qui, da troppo tempo, è un privilegio. Non c’è nulla da festeggiare, quando l’unico treno che parte è quello per andare via. Non c’è motivo di cantare, se l’unica musica è quella dei concerti retorici che ignorano il sangue, il sudore, le radici.
La verità è una: il Sud continua a pagare.
Dal 6 agosto 1863, quando i primi operai della storia d’Italia venivano massacrati a Pietrarsa perché chiedevano dignità, ad oggi, non è cambiato nulla. Allora si chiamavano Aniello Marino, Domenico Del Grosso, Aniello Olivieri, Luigi Fabbricini. Oggi hanno mille nomi, ma il destino è lo stesso: partire o restare e lottare da soli.
Quel giorno del 1863, a pochi anni dall’unificazione, lo Stato rispose col piombo alla richiesta di pane. Il Regio Esercito aprì il fuoco contro gli operai che scioperavano nello storico opificio borbonico di Pietrarsa, simbolo di una civiltà industriale meridionale che l’Italia unita avrebbe smantellato con metodo. Furono uccisi per aver difeso il loro diritto a lavorare. Erano operai. Erano meridionali. Erano umani.
E oggi?
Oggi continuiamo a contare i figli che partono. Solo la Campania ha perso oltre 500.000 giovani in vent’anni. Il Sud ha visto svanire 5 milioni di persone in quarant’anni. È un genocidio sociale, silenzioso ma scientifico. E non ci sono governi, né sindacati, né partiti che si assumano la responsabilità di invertire la rotta.
Noi sì.
Noi giudicheremo i governi non dai bonus o dai proclami, ma dal numero di giovani che non saranno costretti a partire, e da quelli che riusciranno a far tornare.
Noi onoriamo chi ha lottato per restare.
E difendiamo chi oggi lotta ogni giorno: i soggetti fragili, i disoccupati cronici, gli anziani soli, i ragazzi senza rete.
Perché finché i figli del Sud saranno costretti a scappare,
non ci sarà mai niente da festeggiare.