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Addio a Ci-Ci-Ciro Sepe, detto ‘o Cacaglio. La cultura napoletana che vede i morti come anime da abbracciare e non mostri da allontanare

La cultura della morte ha sempre fatto parte dei napoletani. Le anime pezzentelle, sporcata poi dalla cultura americana di Halloween

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Di Lorenzo Piccolo
A Napoli compare un manifesto funebre, apparentemente dissacrante, che recita così: Ci – Ci – Ci – Ciro Sepe, detto ‘o figlio d’ ‘o cacaglio.

A parte qualche grammaticatura relativa alla lingua napoletana (ma la scuola, si sa, è quella italiana…) la questione è semplice: o sei napoletano dentro e capisci, oppure non lo sei e non lo capirai mai. Al di là delle apparenze, la sostanza è che occorre un livello di civiltà molto elevato per esprimere un rapporto così familiare con i morti e l’aldilà, nella forma di ciò che può sembrare nulla più di una battuta dissacrante.

All’estremo opposto, per intenderci, abbiamo a noi poco comprensibili tradizioni nordiche su familiari defunti che, chissà per quale assurda ragione, dovrebbero trasformarsi in scheletri terrificanti o quant’altro per venire a spaventarci i determinati giorni dell’anno: il riferimento, neanche troppo velatamente, è a ricorrenze come Halloween e successive commercializzazioni della stessa.
Ciò che a noi risulta assurdo concepire è che tutti gli affetti e legami maturati in vita dal defunto possano sparire nel nulla, così che quest’ultimo si trasformi in una sorta di mummia da baraccone degli orrori.

Ecco, questa è barbarie. Quella napoletana e meridionale invece è civiltà sotto le apparenti spoglie di un Ci – Ci – Ciro Sepe.