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Giacomo Marulli, il poeta napoletano divulgatore della lingua napoletana. Ricordato da Salvatore Di Giacomo, ispirò Eduardo De Filippo

Una storia tutta napoletana

Il Seggio del Popolo - Locanda

di Davide Brandi

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Il 15 agosto 1883, 140 anni fa, moriva a Napoli uno dei più prolifici e bravi autori in lingua napoletana, il conte Giacomo Marulli. Altre fonti riportano invece la data di morte al 13 agosto dello stesso anno.

Certamente nacque a Napoli il 1 giugno del 1822 dalla storica e nobile famiglia dei Marulli (di discendenza bizantina, quindi di sangue greco). Tra questi si ricorda il suo avo, Leone Marulli che nel 1229 capeggiò la delegazione che consegnò le chiavi della citta di Andria nientedimeno che all’Imperatore Federico II di Svevia. Il padre di Giacomo invece, Troiano Marulli (1774 – 1859), anch’egli letterato (membro dell’Accademia Pontaniana e di altre) e tra i suoi componimenti ricordiamo soprattutto “Elogio funebre di Maria Cristina di Savoia, Regina delle Due Sicilie”, ma fu soprattutto un fedelissimo ufficiale borbonico elevato da re Ferdinando II sino al ruolo di Comandante di Capitanata. Tra gli altri componenti della famiglia, si ricorda inoltre un omonimo del padre (probabilmente un cugino), Troiano Marulli duca d’Ascoli (1759 – 1823), che tra gli alti ruoli statali fu persino Vicario Generale del re con poteri di Alter ego, passato alla storia per esser stato uno dei membri della commissione nominata nel 1816 da Ferdinando II, per sovraintendere i lavori di ricostruzione del Teatro S. Carlo di Napoli a seguito dell’incendio (e ricostruito in soli 9 mesi). I Marulli sono stati proprietari del monumentale Palazzo Marulli (per matrimonio di una delle esponenti degli Albertini, la vedova del principe Giovanni Battista, la principessa Eliza Mary Rose Grainger con Sebastiano Marulli), già Palazzo dei Principi di Cimitile, oggi Palazzo Calabria, ubicato in via S.Teresa degli Scalzi al civico 76, a Napoli.

Ma tornando a Giacomo Marulli, si è detto che fu autore in lingua napoletana e quindi divulgatore e “difensore” della parlata del popolo. Studiò giurisprudenza, ma non intraprese mai la carriera forense (iniziò nello studio dell’avvocato Cito) lasciando il praticantato e litigando anche con la famiglia (che di fatto lo diseredò) ma privilegiando invece soprattutto la stesura di commedie popolari scrivendone centinaia e la sua istruzione gli valse una marcia in più rispetto agli altri autori precedenti ed agli attori suoi contemporanei (molti dei quali erano di fatto analfabeti ma sfruttavano la sua penna discreta), riuscendo a dar una costruzione ben articolata delle scene e dei contenuti con il giusto equilibrio che non prevedeva assolutamente la comicità volgare che caratterizzò la forma artistica popolare sino a quel momento. Pare che fosse un tipo molto schivo, amava la solitudine e in questa si rifugiava per concentrarsi nella stesura dei suoi lavori, ma tale condizione non attirava su di lui molte simpatie e di conseguenza, nemmeno lauti guadagni. Per questo, grazie all’interessamento della moglie, Fanny di Pietro ed al fratello Gennaro Marulli, benvoluto da re Ferdinando II, ottenne un’occupazione statale prima nell’amministrazione dei telegrafi e poi in quella delle finanze, lavoro che perderà nel 1860 con l’unità d’Italia, e per questo tenterà il suicidio provando a lanciarsi dal ponte della Sanità (non riuscito grazie all’intervento di alcuni carabinieri di passaggio). Successivamente, grazie all’amico sindaco di Napoli, Rodrigo Nolli, otterrà un posto nell’amministrazione comunale. Giacomo Marulli a volte scriveva le sue opere in collaborazione con Pasquale Altavilla (altro bravo commediografo napoletano), con Carlo Guarini, con Luigi Colucci o con Antonio Petito, la famosa maschera di Pulcinella. Quest’ultimo trasse notorietà e fama dalle sue commedie, ma purtroppo in cambio, Giacomo Marulli ottenne solo invidie da parte della mamma di Petito, Donna Peppa, e l’infame calunnia di jettatore. Gli stessi Marulli ed Altavilla (come riporta Salvatore Di Giacomo in “Cronaca del teatro San Carlino”), spesso entravano in polemica con Antonio Petito perché veniva accusato di firmare lavori da loro scritti.

La sua opera d’esordio fu scritta a 19 anni e messa in scena (nel 1841) al teatro San Carlino di Napoli il cui titolo è “Pancrazio portato ncarrozza da lo nepote sujo”. Dal 1848 divenne autore ordinario del San Carlino.

Tra le altre commedie, edite e rappresentate per la prima volta anche postume, ricordiamo: il melodramma comico “Don Gavino o un avviso ai vecchi” (1850); la commedia “L’appassionate de lo romanzo de zio Tom 52” (1853, con P.Altavilla); “La villeggiatura” (1857); la farsa “Un pezzo di musica e due biglietti” (1857); l’opera buffa “No sordato mbriaco a la casa de Policenella” (1859); “Un amore col Trovatore” (1859); la commedia “Na mugliera goliosa e nu marito babbasone ossia Pulcinella sciocco referendario d’immaginari avvenimenti” (1862); la commedia “Uno scherzo della fortuna con Pulcinella servo di due studenti sfasolati” (1862); la commedia “Pulcinella imbrogliato fra due mogli e zio senza nipoti” (1864); la commedia “Una festa di paese” (1868); la commedia “La fortuna di un poeta ossia Poesia, gelosia, diebbete e mazzate” (1871); Commedia per musica “I pappagalli” (1871); la commedia lirica allegorica “I tre regni o il bene e il male” (1872); la commedia “Lo retuorno da Buenos Ayres o sia Pulcinella nepote ricco, nepote pezzente e nepote senza zio” (1882); la commedia “Pulcinella contadino e Pulcinella disertore” (1887); la commedia “Vi che m’ha fatto frateme o La fucilazione ‘e Pulicinella” (1887); la commedia “Il mio cadavere ossia Nu Muorto che non è muorto…” (1878); la commedia “Tric-Trac tanto a parte” (1892); la commedia “Nu rilorgio nu cappiello e nu pazzo ossia Pulcinella servo sciocco e creduto portapollaste pe na strana combinazione”(1910); la commedia “Nu tesoro int’ a na seggia” (1912); la commedia “Chi è nepoteme?…con Pulcinella e Don Felice” (1912); la commedia “Il pittore di un morto vivo con Pulcinella sciocco servo del pittore e spaventato da un finto morto” (1935) e tante tante altre.

Giacomo Marulli fu anche poeta e ci ha lasciato anche una serie di poemetti, canti e poesie tra cui: “Li duje de novembre ncoppa a lo camposanto, canto a lengua nosta” (1868); “Poche fiure pe li muorte lo juorno 2 de novembre 1877…” (1877); “L’ammore a lo scuro. Pe n’incontro dinto a la Villa” (1870); “Lo Carnevale a Napole de llo 1877” (1877); “La causa de Napole a lo trebbunale de lo cielo azzoè Trascurzo ntra S.Pietro e S.Gennaro” (1874); “S.Martino, o la festa de li cornute, chelleta a lengua nosta de Giacomo Marulli…” (1881); “A lo segnore don Ciccio Cangiano, ommo addotto e vertoluso e paglietta co ghi aunanno tutte l’antecaglie pajesane allerezza de li tane vedennolo fa le ffiche a Gnolella” (1883).

Marulli inoltre è stato uno dei pochi (forse l’unico) che nel suo tempo ha scritto saggi, narrativa e romanzi in lingua napoletana. Ricordiamo tra questi lavori: il saggio “Guida pratica del dialetto napolitano o sia spiegazione in lingua toscana della mimica di alcune frasi e delle voci dei venditori e scene comiche dei costumi napolitani raccolte e pubblicate” (1877, con Vincenzo Livigni); il romanzo “Jennariello lo caffettiere” (1869); il racconto “Tropmann o l’assassino de na famiglia, fatto storeco soccieso a Parigge l’anno 1869” (1873); il romanzo “La notte de Piedigrotta, azzoè lo filantropo de la Pignasecca” (1873); il romanzo “Il ladro di piazza Francese” (1874); i racconti storici “L’inquisizione a Napoli ovvero Masaniello da Sorrento e Cesare Mormile, Il giuramento di Masaniello d’Amalfi, Macchia e medina Coeli. Racconti storici dal 1547 al 1707” (1882); “Provvidenza e Buona Speranza, cronaca napolitana del Secolo XVIII”(1892).

Eduardo De Filippo raccontava d’essersi ispirato all’opera di Marulli “I comici e l’avvocato” per scrivere la sua commedia “L’arte della commedia” (1964). In realtà Eduardo leggeva molto i lavori di Marulli tant’è che alcuni copioni, erano presenti nell’archivio del grande Eduardo, mentre nel suo saggio intitolato “Cronaca del teatro San Carlino” (1895), Salvatore Di Giacomo scrive, tra le varie cose, anche una biografia proprio di Giacomo Marulli, definendolo il Mastriani della commedia popolare napoletana

C’è da rilevare purtroppo, che le istituzioni cittadine napoletane non hanno mai provveduto ad intitolare a lui né una via o una piazza o una biblioteca o un qualsiasi altro sito, né a promuovere iniziative incentrate sul ricordo dello stesso e delle sue opere che meriterebbero sicuramente un’adeguata divulgazione se non altro per aver elevato la lingua della città, se pur in espressione popolare, a livello artistico.

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