Home Controcorrente Il Libro e La Spada: in memoria di Pietro Golia

Il Libro e La Spada: in memoria di Pietro Golia

Pietro Golia, che aveva votato la sua vita alla difesa di valori eterni, rinnegando i quali l’uomo cessa di essere tale e diviene caricatura di sé stesso, macchina o dèmone.

Il Seggio del Popolo - Locanda

di Edoardo Vitale (Rubrica: La voce di Sud e Civiltà)

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Anche in questi tempi inquietanti e indecifrabili il sole abbraccia Napoli, splendente come sempre di arcana bellezza. Ma nella sua musica segreta, che solo gli uomini liberi sanno percepire, manca una nota decisa, dissonante, spiazzante, che aggiungeva corpo e profondità a quell’armonia. Proveniva da quel luogo dello spirito che era la Libreria Controcorrente, antro mitologico incastonato nei Quartieri Spagnoli. Cella e trincea di quel monaco guerriero (così appropriatamente si definiva), di nome Pietro Golia, che aveva votato la sua vita alla difesa di valori eterni, rinnegando i quali l’uomo cessa di essere tale e diviene caricatura di sé stesso, macchina o dèmone.

Valori che risplendono nel Sud e nella sua tradizione. Perché l’individuo astratto non esiste, è un fantasma evocato da chi vuole trasformare il mondo in un inferno. In effetti, Pietro era un monaco, perché respingeva ogni lusinga della modernità, disprezzava le comodità, il perbenismo e l’apparenza. E lo faceva non solo nelle prediche, ma nei fatti, cosa che lo rendeva inviso a chi vegeta nel compromesso e sguazza nell’ipocrisia. Conduceva una battaglia senza quartiere contro il nihilismo materialista del Pensiero Unico, con un accanimento paragonabile a quello dei difensori di Civitella del Tronto, che gettarono le chiavi della fortezza in cui erano asserragliati per prevenire qualsiasi remota tentazione di cedimento. Analogamente, per allontanare da sé ogni occasione di rilassamento, ogni pericolo di distrazione, consapevole di dover dare l’esempio in ogni attimo della sua esistenza, Pietro non esitava a infliggersi penitenze e fatiche, spesso a discapito della sua salute. Osservazione che probabilmente la sua fine prematura avvalora.

Questa intransigenza etica rendeva a volte impegnativa la sua compagnia. Alla sua sensibilità di navigato combattente e severo giudice di sé stesso non sfuggiva la benché minima concessione, per quanto inconscia, alla strategia del nemico, che lucidamente individuava nel potere usuraio e nel materialismo livellatore da esso sponsorizzato e imposto. Basti pensare alla perpetua vigilanza contro ogni forma di esterofilia linguistica, veicolata dai mezzi di comunicazione di massa e diretta a estirpare ogni radicamento culturale, ogni appiglio territoriale e storico. Una vigilanza così assidua e penetrante, da essere riuscita davvero a far sì che molti di quanti avevano la fortuna di frequentarlo facessero piazza pulita di questi inconsapevoli “omaggi” all’ideologia dei padroni del mondo.

Perché Pietro era anche un guerriero. E un istruttore impegnato nella formazione delle truppe da schierare a difesa del fragile tesoro di umanità e di armonia donatoci da Dio e tramandatoci dalle generazioni che ci hanno preceduto.

Nessun vuoto formalismo, nessun convenevole, nessuno snobismo, nessuna futilità poteva impunemente manifestarsi alla sua presenza. Dall’uso superfluo di titoli accademici e onorifici all’abbigliamento affettato e modaiolo, alla volgare autoreferenzialità, alle manifestazioni di banale apprezzamento per l’esteriorità delle persone, alla curiosità pettegola, vizi che – come amaramente spesso notava – non si placano nemmeno di fronte alla morte: tutto incappava nella sua reprimenda, spesso ironica, per richiamare alla preziosità di ogni palpito dell’esistenza e alla nobiltà inesprimibile dell’autentica bellezza.

Nessuna prepotenza, nessun abuso di potere lo induceva a chinare la testa. Innamorato delle Due Sicilie, che girava in lungo e in largo, portava ovunque la voce di una Napoli che ha costruito la sua fama planetaria e il suo fascino immortale non certo sul macchiettismo da avanspettacolo, ma sulla coraggiosa e fiera militanza nel segno di un ordine universale fondato sulla giustizia e sulla libertà.

Non dava scampo alla mentalità borghese, ben sapendo che essa era alla base di tutte le tragedie, di tutte le sofferenze, di tutte le umiliazioni subite dal nostro popolo. E che l’avidità disumana che la caratterizza non si sazierà finché non avrà bruciato l’ultimo petalo di bellezza.

Le contrapposizioni destra-sinistra, che addebitava a pigrizia mentale e subalternità culturale, le aveva ripudiate sin da giovanissimo; le ideologie otto-novecentesche, di cui sapeva individuare le tare genetiche riconducibili all’origine borghese, se l’era lasciate alle spalle senza rimpianti, pur sapendo apprezzare lo slancio ideale che ne aveva animato i combattenti migliori. Il suo pensiero era costantemente oltre e sfuggiva a ogni collocazione stereotipata.

Sapeva guardare il mondo con innocenza da bambino: restano indimenticabili il suo rispetto religioso per la natura, il suo volersi immergere in essa anche giocosamente, la sua indignazione quando la vedeva violata e non difesa da chi avrebbe dovuto.

Nessuna richiesta di aiuto lo vedeva indifferente. Con chiunque, non solo con gli amici, profondeva la sua umanità fino al sacrificio spinto oltre l’immaginabile. Per lui la comunità era una rete di solidarietà umana che non doveva escludere nessuno.

A differenza di tanti palloni gonfiati, non si negava mai ai contatti e non disdegnava il rapporto con gli umili, ai quali dispensava sostegno e saggezza. Detestava il disfattismo, il minimalismo, il vittimismo piagnone, figlio della più grave delle sconfitte, la capitolazione morale. Aveva l’abitudine di pensare in grande e si sforzava di trasmetterla al prossimo.

Aveva realizzato un sogno, una casa editrice libera e Controcorrente, com’era lui, alimentandola nel rifiuto orgoglioso e coerente di ogni contributo proveniente dal potere, corrotto o corruttibile, che risponde sempre ad altre logiche. Per fare ciò si era avvalso della sua immensa cultura e del suo altrettanto smisurato coraggio. Che gli valsero un successo epocale, di cui la Napoli del potere, la Napoli della capitolazione, la Napoli colonizzata, che àdula e arricchisce i nemici della tradizione e del popolo, gli ha dato atto a modo suo: con la congiura del silenzio e l’ostracismo. Vere medaglie al valore per un grande soldato dell’autentica napoletanità.

Ha lottato con tenacia contro il pressappochismo – anche quello autodefinitosi “borbonico” – confusionario e ruffiano che ricanta i ritornelli stantii del conformismo. Memorabili le sue battaglie contro le interpretazioni del brigantaggio fatte da chi utilizza le categorie e la terminologia degli invasori, da chi infanga una splendida epopea fatta di coraggio e dignità con narrazioni ridanciane o boccaccesche. Formidabile e pionieristico il suo impegno per la sicurezza alimentare e la tutela della nostra grande tradizione gastronomica.

Era un anticipatore. Con la forza che lo caratterizzava, richiamava l’attenzione su temi, che altri sottovalutavano. Tanti hanno dovuto tardivamente dargli ragione, tanti si sono appropriati delle sue intuizioni, ma quando questo accadeva lui era già avanti.

Egli che aveva una visione così ampia, penetrante e originale della storia e dell’uomo, non aveva mai scritto un libro. E negli ultimi tempi lo sottolineava spesso, accompagnando tale rilievo col proposito di modificare la rotta, di cominciare finalmente a dare corpo a lavori organici sugli argomenti che più gli stavano a cuore. Il 2017 doveva essere l’anno in cui avrebbe iniziato questa nuova avventura. Ma Dio ha voluto che la sua opera omnia si sostanziasse esclusivamente di scritti brevi, di discorsi, e, soprattutto, di azioni. Un insieme dinamico, ribollente e fecondo, che fa tutt’uno con la sua immagine terrena, con la traccia indelebile che ha lasciato nel cuore di chi lo ha conosciuto.

Soffriva nel riscontrare la carenza di militanti seri, alieni da ogni atteggiamento subalterno, operosi e appassionati. Uomini e donne di cui il Mezzogiorno una volta abbondava e che oggi forse scrollano le spalle o sonnecchiano, distratti dal fracasso consumistico o incapaci di scorgere una luce nei vapori nerastri di una modernità malata.

Quanti, fra costoro, non hanno ancora il cuore del tutto indurito dalle asprezze della vita, certamente sentiranno, dentro di sé, la voce di Pietro rincuorarli, come faceva in vita, spingendoli a non abbandonare la lotta, proprio ora che tante nuove luci danno sostanza alle speranze di riscatto.

E forse questa è la chiave per non indulgere alla malinconia. Pietro non ci ha lasciati, non ha lasciato la sua Napoli, il suo Sud. Vive nel nostro sole gagliardo, nel sorriso dei nostri ragazzi, nei palpiti delle nostre bandiere. In quella mano invisibile che improvvisamente, dopo i momenti più cupi, ti aiuta a rialzarti e ti fa sentire più forte e determinato che mai.

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