di Antonio Corradini
Il primo deleterio assaggio di Autonomia differenziata ce lo fornisce il settore della sanità (la cui gestione, in larga parte, è già affidata alle Regioni). Gli effetti, neanche a dirlo, sono devastanti. Partiamo da una premessa: subordinare la salute pubblica al bilancio delle “aziende” ospedaliere è solo il primo passo verso la privatizzazione totale della sanità. Da questo presupposto, e dalla regionalizzazione della sanità, si giunge a un unico drammatico epilogo: le regioni virtuose continueranno ad arricchirsi, le regioni povere continueranno ad erogare servizi indegni per un paese che impropriamente continua a definirsi civile.
Il motivo è semplice e ha un nome e un cognome: migrazione sanitaria, ovvero quel fenomeno tutto italiano che costringe i meridionali a curarsi nelle strutture del nord. Secondo il rapporto Gimbe, nel 2021 la mobilità sanitaria vale 4,25 miliardi di euro (compreso di indotto derivato dagli alloggi, ristorazione, beni e servizi), denaro che dalle regioni del sud confluisce nelle casse delle regioni virtuose del nord alimentando i divari storici tra le due italie. Il rapporto Gimbe, non a caso, è stato pubblicato nel giorno in cui verrà discusso in senato il disegno di legge caldeggiato da Calderoli e Company.
L’Autonomia differenziata, che si fonda sul principio neoliberale di competizione, estenderà questi principi (e dunque questi scompensi) ad altre 23 materie oggi sotto l’egida statale, provocando un dissesto sociale ed economico che non ha precedenti nella storia di questo paese che, imperterrito, continua a definirsi civile. In sostanza, a legge sulle Autonomie approvata, le diseguaglianze territoriali saranno legittimate dallo Stato, incrinando in maniera irreversibile il diritto costituzionale alla tutela della salute. Per i cittadini del Sud, è inteso.