Rubrica a Cura di Enrico Fagnano – Il Mezzogiorno prima dell’Unità: Le industrie nel Regno delle due Sicilie
Ferdinando II per far crescere l’industria delle Due Sicilie e per farle raggiungere
dimensioni internazionali si impegnò per incrementare la presenza degli operatori
stranieri, peraltro già da tempo attivi nei suoi territori. Contrariamente a quanto si
possa credere, il sovrano non concesse mai condizioni di favore agli imprenditori
provenienti dall’estero (tutt’al più, in taluni casi, mise a loro disposizione immobili
dismessi del demanio) per non danneggiare quelli già presenti nel regno. Nonostante
questo la sua politica portò a risultati di rilievo, agevolata dall’efficienza delle
strutture dello Stato borbonico (che all’epoca era nota nell’intera Europa), dalla
stabilità della moneta e di tutto il sistema finanziario, dalla relativa tranquillità sociale
(la delinquenza, infatti, prima dell’Unità nel Meridione tutto sommato era sotto
controllo) e dal buon rendimento degli investimenti.
Vediamo ora quali sono state le principali aziende costituite da industriali stranieri
nel Regno delle Due Sicilie. Nel campo metalmeccanico gli ingegneri inglesi Thomas
Richard Guppy e Giovanni Pattison nel 1853 fondarono la Guppy & Co., che divenne
la maggiore struttura privata del settore in Italia, arrivando ad impiegare 600 addetti.
Di rilievo fu anche la Zino & Henry, una società con capitale misto fondata nel 1836
dal napoletano Lorenzo Zino e dal francese François Henry, che nel 1855, con la
cessione della quota di Zino al calabrese Gregorio Macry, cambiò la sua
denominazione e divenne la Macry, Henry & Co. Più modesto fu l’opificio
meccanico impiantato nel 1836 a Bari dal tedesco Guglielmo Lindemann, che
comunque impiegava 300 operai.
Nel campo tessile lo svizzero Giangiacomo Egg già nel 1812 iniziò la sua attività a Piedimonte d’Alife (oggi Piedimonte Matese), nel Casertano. Lo seguirono, distanziati nel tempo, i connazionali Giovan Giacomo Meyer, Rodolfo Zollinger,
Davide Vonwiller, Federico Zueblin e Gaspare Escher, che diedero vita a numerose
imprese nei dintorni di Napoli e principalmente nel Salernitano.
La più rilevante, però, tra le industrie tessili fondate dagli Svizzeri nel Sud Italia fu
sicuramente la Schlaepfer, Wenner & Co, di Federico Alberto Wenner e Giovanni
Schlaepfer, che aveva la sua sede a Sarno e che in breve divenne una delle principali
realtà del settore in Europa.
L’altro polo tessile meridionale era in Calabria, dove erano attivi circa 300 opifici. La
regione aveva tradizioni antichissime, specialmente nel settore della seta, e qui nei
pressi di Villa San Giovanni l’inglese Thomas Hallam nel 1850 fondò un’azienda
tecnologicamente all’avanguardia con macchine alimentate a vapore.
Anche la produzione della carta ebbe grande impulso dall’iniziativa di industriali
stranieri, i francesi Carlo Antonio Beranger, Carlo Lefebvre, Pietro Coste e Giuseppe
Courrier, dei quali parleremo ampiamente nella prossima punta della nostra rubrica.
Di rilievo, ancora, nel campo enologico in Sicilia fu la presenza di investitori inglesi,
come Benjamin Ingham, John Woodhouse, James Hopps, Joseph Whitaker e Joseph
Payne (peraltro in feroce concorrenza tra loro), che fondarono ditte rinomate, ma in
generale nell’isola numerosi furono gli operatori d’oltremanica un poco in tutti i
settori. Tra gli uomini d’affari provenienti dall’estero nel Regno delle Due Sicilie un posto di
primo piano ebbero i Meuricoffre, che si erano trasferiti da Lione (ma erano di
origine svizzera) addirittura già verso la fine del Settecento per avviare un’attività
tessile. Nel corso dell’Ottocento ad opera di Achille Meuricoffre si trasformarono in
banchieri e in breve il loro divenne il principale istituto di credito privato a Napoli
(nel 1905 sarebbe confluito nel Credito Italiano). Tra le altre società straniere del
settore, le più importanti furono quelle dei francesi René Hilaire De Gas (chiamato
anche Degas e nonno del noto pittore) e Carlo Forquet, fondate rispettivamente nei
primi anni del secolo e nel 1833 (la prima con il tempo perse competitività e infine
venne liquidata, la seconda agli inizi del Novecento sarebbe confluita nella Banca
Commerciale). Ricordiamo, infine, l’impresa dell’ingegnere francese Armando
Bayard, che costruì la ferrovia Napoli-Portici e i successivi prolungamenti fino al
1860, la Napoli-Portici-Castellammare-Vietri e la Napoli-Caserta-Capua.
Grazie anche al contributo degli operatori stranieri, l’industria tessile nelle Due
Sicilie raggiunse dimensioni notevoli e con le sue 1.200 aziende conquistò un posto
di rilievo nei mercati internazionali. La regione settentrionale di punta in questo settore era la Lombardia, ma il raffronto era quasi improponibile e infatti la sua ditta con il maggior numero di addetti era la filatura Ponti, che ne contava poco più di 400, mentre nel Meridione la Egg di Piedimonte ne aveva addirittura 1.500 e numerosi erano gli impianti con almeno 500 addetti. Nel comparto vi furono anche diverse
imprese con capitale napoletano, tra le quali si distinsero in particolare tre lanifici,
quello di Raffaele Sava, allestito negli anni Venti nel chiostro di Santa Caterina a
Formiello, quello di Gioacchino Manna, sorto durante il governo di Murat a Isola, e
quello di Lorenzo Zino (poi socio dell’industria metalmeccanica precedentemente
citata), avviato negli anni Venti a Carnello di Sora. Gli ultimi due impianti si
trovavano nella valle del fiume Liri, all’epoca definita la ʽvalle delle industrie’ dal
momento che accoglieva diversi altri lanifici e numerose cartiere. Nel settore tessile
ci fu anche una fabbrica statale, la Real Officina della seta di San Leucio, fondata nel
1786, che costituiva anche un importante esperimento ispirato alle nuove idee di
giustizia sociale. Il suo ordinamento, il Codice del buon governo, venne promulgato
nel 1789 e prevedeva per gli occupati, che formavano una comunità a sé stante,
condizioni all’avanguardia per l’epoca, come l’assistenza medica gratuita,
l’istruzione obbligatoria per i figli, la parità di diritti tra tutti i componenti della
colonia, comprese le donne, l’assistenza per le vedove e gli orfani, le pensioni di
vecchiaia e addirittura una sorta di pensione di invalidità. Venendo alla fabbrica, che
fu costruita insieme agli edifici annessi dall’architetto Francesco Collecini, occupava
duecento operai e dava vita a realizzazioni di altissima qualità, apprezzate in tutta
l’Europa (oggi diversi suoi manufatti si possono ammirare nel museo, inaugurato nel
1999).