Di seguito il meraviglioso post del prof. Gennaro De Crescenzo
Rilanciamo In questi giorni è stata inaugurata una (suggestiva) mostra nell’Albergo dei Poveri di Napoli (“Ancora qui”) mentre continuano i lavori grazie ai 100 milioni europei. Siamo felici anche se ci resta qualche dubbio sui principali progetti previsti (il trasloco della biblioteca nazionale e dei reperti dagli scantinati del museo archeologico). Si tratta, del resto, di un simbolo importante della storia napoletana e borbonica con i 350 metri della facciata, le 430 stanze e gli oltre 100.000 metri quadri utili.
Ci lasciano perplessi, però, le notizie circolate tra comunicati stampa e diversi giornali in occasione della mostra in corso. Da più parti si legge di “pezzenti” e di “lacrime e sangue”, di meriti dei Rothschild e dei loro finanziamenti per la “inclusione sociale”, di “crudeltà del regime” e ragazzine con “le teste rasate da dare in moglie al miglior offerente delle classi agiate”. Potrebbe sembrare un calderone nel quale si mischiano epoche e notizie, dati archivistici e spunti romanzeschi. L’importanza di quell’edificio, però, merita una rispettosa attenzione e approfondimenti corretti.
Voluto nel 1751 da Carlo di Borbone, si colloca nel periodo “illuministico” (come ribadiscono molti articoli in maniera sistematica) ma sarebbe più corretto parlare di opera “cristiana”, vista la religiosità dei regnanti e vista la partecipazione della chiesa nella costruzione e nella gestione e pensiamo in particolare alla grande figura del famoso Padre Rocco. In estrema sintesi possiamo dire che nel primo periodo l’edificio svolgeva un ruolo di assistenza e nel secondo un ruolo formativo-produttivo oltre che assistenziale. L’IDEA NEGATIVA prevalente fino ad oggi del “serraglio” o “reclusorio”, allora, si afferma solo nel periodo post-unitario e non serviva di certo Rotshschild per prevedere l’inclusione e di certo il “regime crudele” di cui si parla sarà stato quello sabaudo o sabaudo-fascista (e sarebbe stato opportuno chiarirlo).
“Tra Otto e Novecento, l’Albergo non riusciva ad auto-sostenere le ingenti spese e con l’ennesimo taglio di fondi, le condizioni di vita al suo interno peggioravano, gli ospiti cominciarono ad abbandonarsi all’ozio, a piccoli furti e alla prostituzione” (Federico Zeri).
Preziosa un’altra fonte inaspettata: un libro della garibaldina-mazziniana Jessie White Mario (“La miseria in Napoli”, 1877):
“Nel 1835 accoglieva 6310 poveri ben nutriti con 16 once di pane, due buone pietanze, vino ogni giorno e carne due volte la settimana”. 700 gli allievi della scuola normale, prestigiose la scuola di musica e la famosa scuola dei “sordomutoli” (primato napoletano).
Numerose le scuole (e gli operai) di una grande tipografia, per la produzione e la lavorazione di spilli, chiodi, sete, lime, pietre del Vesuvio, vetro, cristallo, lane oltre che di sarti, calzolai, muratori o, in particolare per le donne, di cucito, canto, cappelli o ricami. Vi operava addirittura una avveniristica lavatrice a motore capace di lavare “fino a 1200 camicie”.
“Epoca splendissima dell’istituto [quella degli ultimi anni di Ferdinando II e del Regno di Napoli]. Ogni povero capace di lavorare apprendeva un’arte o un mestiere. Chi non poteva lavorare era mantenuto con decoro”.
Da allora in poi, però, “troviamo un fatto singolare”: aumentano le spese e diminuiscono gli assistiti.
Così dagli oltre 6000 intorno al 1860 si passa ai 4518 del 1862, 3024 del 1870, 2700 del 1872, 2545 del 1876 (anche dopo le donazioni rotshschildiane).
Eliminato il vino, ridotte tutte le porzioni di pane, pasta e carne, la White Mario immagina la fame di quei poveri ospiti. Quasi nessuno, inoltre, viene avviato al lavoro e delle scuole di arti e mestieri “restano solo le tracce” con un regolamento di disciplina inutile e “umiliante”, mentre i sordomuti incontrati erano tutti “mesti e sporchi”: la scuola non esisteva più, l’aveva abolita nel 1871 l’ex ministro Scialoia, uno dei padri del Risorgimento, tra qualche timida protesta in Parlamento.
Da lì in poi (e solo da lì) il declino progressivo con la collocazione di uffici vari e crolli vari fino a quello drammatico del 1980 e fino al totale, colpevole e vergognoso abbandono durato quasi mezzo secolo.
PS Nella primavera del 2021 presentammo, con migliaia di persone, con Maurizio De Giovanni e tanti imprenditori e artisti un progetto per insediare in qualche stanza una Accademia delle Eccellenze di Napoli e del Sud (esposizioni storiche e formazione per i giovani), dal passato al futuro ed esattamente nello spirito della fondazione sette-ottocentesca del Reale Albergo. Finora nessuna risposta e avanzano altri progetti e, evidentemente, altre idee.
Fonti essenziali: fondi Archivio di Stato di Napoli e, soprattutto, il monumentale testo di D’Arbitrio e Ziviello (1999)
Gennaro De Crescenzo















