In queste ore, diversi quotidiani e siti di informazione hanno rilanciato la notizia di un decesso avvenuto durante la festa scudetto a Napoli. Un fatto tragico, che merita rispetto e sobrietà. Tuttavia, nel trattamento mediatico che questa notizia ha ricevuto, c’è qualcosa di profondamente sbagliato, di inquietante, di indicativo di una tendenza ormai consolidata nella narrazione italiana: quella che trasforma Napoli, qualunque sia il contesto, nel teatro privilegiato di cronaca nera, degrado e pericolo.
Partiamo dai fatti. Durante i festeggiamenti per lo scudetto, una persona è venuta a mancare a causa di un infarto. Una tragedia, certo, come può purtroppo accadere in qualunque momento della vita, in qualunque città, durante qualunque evento pubblico o privato. Ma la notizia, veicolata da numerosi titoli, ha assunto tutt’altro tono: “Un morto alla festa scudetto a Napoli” , oppure “Napoli, scudetto amaro: c’è una vittima” . In poche righe, il lettore viene colpito da un messaggio che non corrisponde più alla realtà oggettiva, ma che è stato abilmente manipolato per solleticare l’emotività e la paura.
E qui sta il punto: l’infarto sparisce, l’informazione medica viene omessa, la contestualizzazione evaporata. Rimane solo l’equazione “festa = morte”, “Napoli = pericolo”. E questo non è un errore involontario, ma un meccanismo consapevole, frutto di un giornalismo che ha smarrito l’etica della responsabilità a favore dell’idolatria del click. Perché, lo sappiamo, i titoli sono l’unico elemento che viene letto da circa il 70% degli utenti digitali, in un mondo in cui le notizie ci piovono addosso a raffica e il tempo per analizzare è sempre meno. E allora, se in quelle poche parole c’è Napoli e c’è la morte, il gioco è fatto. L’indignazione esplode, il pregiudizio si consolida, il capro espiatorio è servito.
Immaginate, invece, un titolo più corretto e onesto: “Tragedia durante la festa scudetto: l’uomo muore per infarto” . Un titolo che restituisce dignità all’evento, rispetto alla vittima, e contesto alla notizia. Un titolo che informa davvero. Ma quanti clic farebbero? Pochi, pochissimi. Perché la verità, quando non è sensazionalistica, vende meno. E allora meglio insinuare piuttosto che chiarire. Meglio alimentare il sospetto che Napoli sia fuori controllo, piuttosto che raccontare la realtà per quella che è: una città viva, complessa, piena di contraddizioni e bellezza, che in quel momento stava semplicemente festeggiando uno dei traguardi sportivi più attesi e sentiti della sua storia.
Ma c’è di più. Questi titoli alterati non sono solo il frutto di pigrizia o superficialità. Sono, spesso, parte di una narrazione sistemica che utilizza Napoli come sfondo per raccontare l’Italia peggiore. Non è un caso che, ogni volta che accade qualcosa nel capoluogo partenopeo – che si tratti di una celebrazione, un evento culturale, una manifestazione – il racconto che emerge privilegi sempre l’aspetto più drammatico, caotico o criminale. Se c’è una folla, si parlerà di risse. Se c’è musica, si parlerà di disordine. Se c’è festa, si parlerà di violenza. Il messaggio subliminale è chiaro: Napoli è un luogo dove anche la gioia finisce per uccidere.
E in tutto questo, nessuno sembra preoccuparsi del dolore dei familiari della persona scomparsa, della dignità del momento, del senso di comunità che pure si è respirato in quei giorni. Nessuno si interroga sulle conseguenze di un giornalismo così orientato al sensazionalismo da dimenticare le basi deontologiche della professione: informare in modo corretto, contestualizzare, verificare, rispettare.
Il risultato è un’opinione pubblica confusa, impaurita, manipolata. Una parte del paese si sentirà nuovamente autorizzata a pensare che Napoli sia una città ingestibile. Altri, magari più sensibili, si limiteranno a provare un vago senso di tristezza, senza mai andare oltre il titolo. Intanto, la macchina dei media continua a macinare clic, like, condivisioni, costruendo una narrazione che non aiuta nessuno, né chi vive a Napoli né chi la guarda da lontano.
È giunto il momento di ribaltare questo schema. Di chiedere ai media di fare meglio, di pretendere un giornalismo che non si limita a raccontare Napoli quando può farlo male, ma che impari anche a raccontarla bene, con le sue contraddizioni ma anche con il suo valore. Dire basta a questa strategia dell’allarme permanente che trasforma ogni evento in una minaccia, ogni festa in un caso di cronaca.
Non è solo una questione di immagine. È una questione di verità. E la verità, in un paese democratico, dovrebbe sempre valere più di qualche migliaio di clic.